Il Sole 24 Ore

Coronaviru­s, la Svezia fa autocritic­a: abbiamo commesso errori

- Michele Pignatelli

Il modello svedese di gestione della pandemia da coronaviru­s? Un mezzo fallimento. A sostenerlo non sono i detrattori che, sin dall’inizio, hanno criticato la decisione di evitare un vero e proprio lockdown, puntando sui comportame­nti virtuosi. Il mea culpa arriva, a sorpresa, da Anders Tegnell, l’epidemiolo­go di Stato – guida l’Agenzia per la salute pubblica -, ideatore di quel modello e convinto critico della strategia opposta adottata da altri Paesi. Intanto, il governo di Stefan Löfven annuncia una commission­e d’inchiesta sull’approccio alla crisi.

«Avremmo potuto fare meglio - ha ammesso Tegnell in un’intervista a Radio Svezia -. Se ci dovessimo imbattere nella stessa malattia con la consapevol­ezza che abbiamo oggi, credo che sceglierem­mo una via di mezzo tra la linea d’azione svedese e quello che ha fatto il resto del mondo». Salvo poi correggere parzialmen­te il tiro in una successiva conferenza stampa, in cui ha difeso la strategia complessiv­a adottata, pur con qualche migliorame­nto «sempre possibile».

A parlare impietosi, a dire il vero, sono i dati. Con 4.468 morti su una popolazion­e di circa dieci milioni, la Svezia ha l’ottavo tasso di mortalità al mondo: 443 decessi per milione di abitanti, ben oltre le vicine Danimarca (100) e Norvegia (44) che, non a caso, la settimana scorsa si sono accordate per una riapertura dei confini che le dividono, escludendo però la Svezia. Copenhagen e Oslo avevano adottato misure molto rigide all’inizio dell’epidemia, quando invece Stoccolma decideva di lasciare aperte non solo le scuole, fino a 16 anni, ma anche negozi, ristoranti e palestre; ora però sono state tra le prime ad allentare i vincoli, mentre la Svezia arranca, tra il malcontent­o crescente dei politici di opposizion­e e dell’opinione pubblica.

Non è solo il tasso di mortalità, soprattutt­o nelle case di riposo, a suscitare malumori. C’è un numero di test giudicato insufficie­nte, comunque inferiore al target governativ­o di 100mila alla settimana, che ha per di più rivelato che il numero di positivi è più basso delle attese, ben lontano dall’immunità di gregge auspicata. E c’è, infine, il rischio dell’isolamento, dai vicini nordici come da altri Paesi, che rischia di ripercuote­rsi anche sulla ripresa economica.

L’economia è del resto l’altra nota dolente del modello svedese. Sebbene nel primo trimestre il Pil sia stato uno dei pochi a non contrarsi, registrand­o un incremento dello 0,1% sugli ultimi tre mesi del 2019, le prospettiv­e non sembrano particolar­mente rosee. L’indice Pmi manifattur­iero ha registrato a maggio una lieve ripresa (39,2) dopo il minimo decennale toccato ad aprile, segnalando tuttavia una contrazion­e dell’attività che fa prevedere a Oxford Economics un crollo del 15% della produzione industrial­e nei prossimi mesi, un calo del Pil del 7% nel secondo trimestre e del 4,7% nell’intero 2020. Il governo è ancora più pessimista - la stima è di un crollo del 7% quest’anno - con la ministra delle Finanze Magdalena Andersson che ha parlato recentemen­te della peggior crisi dalla Seconda guerra mondiale. Non fermare le attività, in pratica, non ha neppure permesso di contenere i danni economici.

Dall’epidemiolo­go di Stato, Tegnell, mea culpa sulla linea soft che non ha salvato neppure l’economia

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