Coronavirus, la Svezia fa autocritica: abbiamo commesso errori
Il modello svedese di gestione della pandemia da coronavirus? Un mezzo fallimento. A sostenerlo non sono i detrattori che, sin dall’inizio, hanno criticato la decisione di evitare un vero e proprio lockdown, puntando sui comportamenti virtuosi. Il mea culpa arriva, a sorpresa, da Anders Tegnell, l’epidemiologo di Stato – guida l’Agenzia per la salute pubblica -, ideatore di quel modello e convinto critico della strategia opposta adottata da altri Paesi. Intanto, il governo di Stefan Löfven annuncia una commissione d’inchiesta sull’approccio alla crisi.
«Avremmo potuto fare meglio - ha ammesso Tegnell in un’intervista a Radio Svezia -. Se ci dovessimo imbattere nella stessa malattia con la consapevolezza che abbiamo oggi, credo che sceglieremmo una via di mezzo tra la linea d’azione svedese e quello che ha fatto il resto del mondo». Salvo poi correggere parzialmente il tiro in una successiva conferenza stampa, in cui ha difeso la strategia complessiva adottata, pur con qualche miglioramento «sempre possibile».
A parlare impietosi, a dire il vero, sono i dati. Con 4.468 morti su una popolazione di circa dieci milioni, la Svezia ha l’ottavo tasso di mortalità al mondo: 443 decessi per milione di abitanti, ben oltre le vicine Danimarca (100) e Norvegia (44) che, non a caso, la settimana scorsa si sono accordate per una riapertura dei confini che le dividono, escludendo però la Svezia. Copenhagen e Oslo avevano adottato misure molto rigide all’inizio dell’epidemia, quando invece Stoccolma decideva di lasciare aperte non solo le scuole, fino a 16 anni, ma anche negozi, ristoranti e palestre; ora però sono state tra le prime ad allentare i vincoli, mentre la Svezia arranca, tra il malcontento crescente dei politici di opposizione e dell’opinione pubblica.
Non è solo il tasso di mortalità, soprattutto nelle case di riposo, a suscitare malumori. C’è un numero di test giudicato insufficiente, comunque inferiore al target governativo di 100mila alla settimana, che ha per di più rivelato che il numero di positivi è più basso delle attese, ben lontano dall’immunità di gregge auspicata. E c’è, infine, il rischio dell’isolamento, dai vicini nordici come da altri Paesi, che rischia di ripercuotersi anche sulla ripresa economica.
L’economia è del resto l’altra nota dolente del modello svedese. Sebbene nel primo trimestre il Pil sia stato uno dei pochi a non contrarsi, registrando un incremento dello 0,1% sugli ultimi tre mesi del 2019, le prospettive non sembrano particolarmente rosee. L’indice Pmi manifatturiero ha registrato a maggio una lieve ripresa (39,2) dopo il minimo decennale toccato ad aprile, segnalando tuttavia una contrazione dell’attività che fa prevedere a Oxford Economics un crollo del 15% della produzione industriale nei prossimi mesi, un calo del Pil del 7% nel secondo trimestre e del 4,7% nell’intero 2020. Il governo è ancora più pessimista - la stima è di un crollo del 7% quest’anno - con la ministra delle Finanze Magdalena Andersson che ha parlato recentemente della peggior crisi dalla Seconda guerra mondiale. Non fermare le attività, in pratica, non ha neppure permesso di contenere i danni economici.
Dall’epidemiologo di Stato, Tegnell, mea culpa sulla linea soft che non ha salvato neppure l’economia