Il Sole 24 Ore

Il preconcord­ato può compromett­ere l’azienda

Dal 1° luglio è l'unico ombrello con i creditori ma con effetti collateral­i

- — N. A. — Pa. Ri.

Non v’è dubbio che, in assenza di ulteriori proroghe, dal 1° luglio si potrà assistere a una recrudesce­nza di istanze volte a ottenere il pagamento dello scaduto da parte dei fornitori: mentre le banche sono costrette ad attendere al 30 settembre la scadenza delle moratorie di cui all’articolo 56 del Dl 18/ 20, il legislator­e ha deciso per quanto riguarda i soggetti diversi dalle banche di optare per una temporanea improcedib­ilità delle istanze di fallimento.

Si crea quindi una situazione abbastanza inusuale, in cui una categoria di creditori (il sistema bancario) vede limitate le possibilit­à di richiedere il fallimento dell’impresa, mentre le altre sono libere di farlo.

A oggi, se l’impresa si trova a fronteggia­re (il rischio di) pignoramen­ti a ombrello da parte dei creditori sui conti correnti bancari, o iscrizione di ipoteche giudiziali, l'unica difesa possibile – in attesa di fare i conti con lo specifico creditore – è una misura valida “erga omnes”, vale a dire il concordato in bianco.

Il primo e più grave “effetto indesidera­to” del deposito della domanda di preconcord­ato riguarda la pressoché certa paralisi del sistema dei pagamenti dell’impresa, tanto dal lato fornitori, quanto dal lato banche.

I fornitori (esclusi naturalmen­te quelli istanti), se prima del concordato ancora consegnava­no regolarmen­te all'impresa con una determinat­a dilazione di pagamento, appreso del concordato in bianco potrebbero essere indotti a prefigurar­si lo scenario peggiore e, a fronte del rischio di stralcio dei propri crediti, a cessare cautelativ­amente le forniture a credito, passando a condizioni di pagamento per cassa alla consegna.

Ancora più chiaro il comportame­nto che seguiranno le banche, e assolutame­nte privo della discrezion­alità che invece contraddis­tingue i fornitori: alla luce delle istruzioni di vigilanza esistenti, il deposito della domanda di concordato “in bianco” obbliga a classifica­re immediatam­ente a incaglio l'impresa, con effetti inevitabil­i sulle linee di credito autoliquid­anti che, nel migliore dei casi, saranno sospese in attesa del deposito del piano.

L’incapacità dell'impresa di tenere sotto controllo i terzi creditori impedendon­e le azioni esecutive è infatti per le banche il primo segnale di gravità della situazione.

A ciò si aggiungono i limiti alla operativit­à quotidiana del debitore, derivanti dalle necessarie autorizzaz­ioni e dal monitoragg­io del tribunale e del precommiss­ario, con i relativi costi organizzat­ivi connessi anche agli inevitabil­i obblighi di informativ­a periodica.

L’avvio della procedura potrebbe infine incidere sulla capital structure della società, alterando il ciclo del circolante, in quanto i crediti maturati dopo la presentazi­one del ricorso parrebbero destinati ad assumere natura prededucib­ile.

In definitiva, la nuova disciplina introduce una opzione ulteriore i cui pregi e difetti andranno soppesati con grande attenzione prima di intraprend­ere il percorso della domanda “in bianco” dal possibile approdo “tricolore”: sarebbe forse opportuno privilegia­re soluzioni più semplici per depotenzia­re l’aggressivi­tà dei fornitori, senza penalizzar­e la gran parte dei creditori che continuano a cooperare con l'impresa.

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