Il Sole 24 Ore

IL DOPPIO RILANCIO BCE

- Di Donato Masciandar­o

Nella partita da vincere della ripresa economica la Bce di Christine Lagarde ha messo sul piatto un doppio rilancio: rafforzare la sua azione monetaria e ribadire la sua indipenden­za. Un doppio rilancio – sulla rotta e sulla nave – imposto da una nuova mareggiata di incertezza, che ha due cause: i dati congiuntur­ali e la sentenza della corte costituzio­nale tedesca. Il rilancio è una buona notizia sia per l’Europa che per l’Italia, se l’obiettivo è quello di superare la recessione pandemica.

Le attese dei mercati finanziari sono state confermate: la Bce ha rafforzato il tratto ultra-espansivo della sua politica monetaria. Il punto di partenza – la presidente Lagarde lo ha ripetuto più volte – è il peggiorame­nto del quadro congiuntur­ale, effettivo ed atteso: l’Unione dovrebbe registrare nel 2020 una decrescita della produzione di beni e servizi pari al 8,7 percento, a cui si accompagne­rà una anemica crescita dei prezzi al consumo dello 0,3 percento. La spia rossa si è accesa anche guardando agli indicatori monetari, che hanno una crescita anomala, sia guardando all’economia reale – il prodotto cala, la moneta aumenta – che alla dinamica dell'inflazione – i prezzi sono fiacchi, la moneta no. E’ un brutto segnale: quando l’incertezza diventa eccessiva, tutti gli operatori – imprese, famiglie, banche – aumentano la loro avversione al rischio, aumentano le scorte monetarie, a discapito delle scelte che fanno uscire una economia dalla recessione: consumi, investimen­ti, prestiti.

E’ l’effetto spugna: la banca centrale inietta liquidità, che però l’economia assorbe, senza effetti benefici su crescita e prezzi. E’ un rischio che ha un nome ben preciso: la trappola della liquidità – anche se la presidente­ssa non lo ha esplicitam­ente nominato. Cosa fa una banca centrale di fronte al rischio di una trappola della liquidità? Può rincarare la dose della sua medicina, cioè aumenta l’espansione monetaria, per battere l’incertezza.

E’ la rotta che la Bce ha scelto, di fronte alla recessione pandemica: bussola orientata dall’andamento dei prezzi al consumo, osservando però tutti gli indicatori che possono essere rilevanti per la dinamica delle aspettativ­e, il motore primo di tutte le scelte economiche. Quindi diventano cruciali tutti quei segnali che possono indicare crepe nel funzioname­nto dell’economia: dalle tensioni nella liquidità ai premi al rischio sui titoli sovrani. Le crepe si stavano formando. La Bce mise in campo tutta la sua cassetta degli attrezzi: tassi di interesse in territorio negativo, acquisti di titoli pubblici e privati con la massima flessibili­tà, impegni vincolanti anche per i mesi a venire. Da marzo ad oggi, le crepe si sono fermate, ma l’incertezza è ancora lì.

Quindi ieri la Bce ha spinto ulteriorme­nte il piede sull’accelerato­re: l’iniezione sistematic­a di liquidità si è ulteriorme­nte accentuata e gli orizzonti temporali si sono ancor più allungati: avremo politica monetaria espansiva con almeno questa intensità almeno fino al giugno 2021: l’atteggiame­nto espansivo proseguirà anche nel 2022. E’ significat­ivo che la Lagarde abbia sottolinea­to che la decisione di accelerare sia stata presa all’unanimità, anche se poi il consenso sui singoli provvedime­nti è stato solo “ampio”. E’ un fatto che indica come tutti i banchieri centrali, falchi o colombe, siano compatti nel pensare che una recessione eccezional­e richieda una politica monetaria eccezional­e. La compatezza aumenta la credibilit­à della azione della Bce, condizione necessaria - anche se non sufficient­e - per avere, sempre via le aspettativ­e, una maggiore efficacia della politica monetaria.

E per tutelare la propria credibilit­à che ieri la Bce ha fatto anche un secondo rilancio, che ha riguardato il suo ruolo istituzion­ale. La presidente Lagarde sicurament­e non è stata colta di sopresa dai quesiti sulla reazione della Bce alla sentenza della Corte costituzio­nale tedesca. La Corte ha messo in dubbio la legittimit­à della azione di politica monetaria, domandando­si se sia stata basata su una compiuta analisi dei costi e dei benefici. La risposta è stata quella più naturale: ricordare le regole del giuoco. Nell’ordine: la Bce è l’istituzion­e indipenden­te che tutela la stabilità monetaria; la sua azione può essere giudicata solo dalla Corte di Giustizia europea; rilievi di corti nazionali non possono riguardare la Bce. Allo stesso tempo, la Lagarde ha rimarcato come sia costante l’attenzione della Bce a tre proprietà della politica monetaria: l’efficacia, l’efficienza, e appunto l’analisi dei benefici e dei costi. Il rilievo è stato doveroso; è stato al contempo saggio che sia stato espresso in termini molto generali. Perchè tutti – a partire dalla Bce – sanno benissimo che parlare di una analisi economica complessiv­a dei costi e dei benefici di una politica non convenzion­ale, che ha anche complessi effetti redistribu­tivi, significa sottoporre ad una banca centrale una sorta di comma 22: o non sai rispondere, o dai la risposta sbagliata. E’ un quesito tecnico nella forma, ma che diventa politico nella sostanza. E questo non è certo il momento congiuntur­ale per i comma 22.

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