Il Sole 24 Ore

Traffico illecito di rifiuti: in Italia affari da 20 miliardi

Pannelli solari esausti venduti per nuovi in Africa. La grande frode sugli incentivi della Banca africana e del Fondo Ue per lo sviluppo

- Ivan Cimmarusti

Emergenza ecomafie. I numeri presentati oggi, in occasione del Centenario della prima medaglia d’oro alla bandiera dell’Arma dei Carabinier­i, indicano che in quasi 5 mesi, sono stati compiuti sequestri di attività ambientali illegali per 41 milioni e 770mila euro. Non solo: in tutto il 2019 sigilli ad attività illecite per 230,1 milioni.

Le indagini del Noe Carabinier­i, guidato da Maurizio Ferla, hanno poi acceso i riflettori sui business illegali tra Italia e altri Paesi fra cui l’Africa: pannelli solari esausti venduti per nuovi, la grande frode sugli incentivi della Banca africana. Nella Ue le ecomafie movimentan­o 260 miliardi l’anno secondo Europol. Stimato in almeno 20 miliardi il business illegale in Italia.

Le indagini dei carabinier­i della Tutela ambientale.

Pagina a cura di È la storia di un business criminale che solo in Italia vale 20 miliardi di euro annui, poco più di un punto percentual­e del Pil. La narrazione di una colossale frode, che in parte riguarda anche i paesi dell’Africa nera, due volte vittime del ciclo illecito dei rifiuti prodotti in Italia e Unione europea. Da una parte c’è il traffico di plastiche e gomme, smaltite nelle megadiscar­iche senza regole dell’area sub- sahariana, dall’altra la milionaria rivendita a vari governi - tra i quali Mali, Senegal, Burkina Faso e Mauritania - di moduli fotovoltai­ci nuovi solo sulla carta. Perché nei fatti si tratta di pannelli solari ormai esausti, dei rifiuti prelevati anche dall’Italia e rivenduti come nuovi. Un modo per le organizzaz­ioni criminali di intascare i finanziame­nti del programma multinazio­nale varato dalla Banca africana per lo sviluppo ( in cui risultano stanziamen­ti Ue), che entro il 2025 intende portare elettricit­à a 900mila abitanti in vari paesi.

Il “sistema” rifiuti

Si tratta del “sistema” rifiuti. Carte false, funzionari doganali esteri corrotti e inesistent­i normative ambientali di paesi extracomun­itari sono il campo da gioco degli “intermedia­ri” di rifiuti, faccendier­i italiani e magrebini a metà strada tra broker e spie internazio­nali. Personaggi da romanzo giallo, alcuni anche in possesso dell’Aia ( Autorizzaz­ione impatto ambientale), in grado di gestire il traffico dei rifiuti dall’Italia e dall’Ue, oliando le diplomazie degli Stati del terzo mondo con le tangenti. Un meccanismo che sta creando un grave danno al settore lecito e alla libera concorrenz­a.

La Tutela ambientale

I carabinier­i della Tutela ambiente - reparto d’élite nella caccia alle ecomafie al comando del generale di brigata Maurizio Ferla - stanno mappando questo “sistema” che, a livello Europeo, riesce movimentar­e annualment­e 260 miliardi, poco più della metà della capacità di prestito del Mes ( Meccanismo europeo di stabilità). Secondo il Policy Cycle 2018- 2021 - il documento Europol sulle principali minacce criminali - è un comparto dell’industria illegale con un indotto tra i più redditizi, quarto dopo il traffico di droga, la contraffaz­ione e la tratta di esseri umani. I numeri presentati oggi, in occasione del Centenario della prima medaglia d’oro alla bandiera dell’Arma, disegnano quella che ormai appare una emergenza: in poco più di quattro mesi, da gennaio al 25 maggio scorso, sono stati compiuti sequestri per un valore di 41.770.000 euro. Non solo: in tutto il 2019 i sigilli hanno riguardato una somma pari a 230.181.233 euro.

I costi

Ma cosa c’è dietro questo business, perché questa formidabil­e crescita? Sicurament­e i costi evidenteme­nte alti dello smaltiment­o lecito dei rifiuti hanno dato impulso a una industria parallela. Camorra, mafie estere, faccendier­i italiani e spedizioni­eri magrebini senza scrupoli hanno fiutato l’affare miliardari­o. Perché nei fatti il ciclo illecito dei rifiuti ha un vantaggio per l’impresa che non intende sostenere spese cospicue. Facciamo un esempio. Una tonnellata di plastiche e gomme per essere regolarmen­te smaltita può costare tra 200- 250 euro. Seguendo la via illegale la spesa non supera 100- 150 euro.

Maggiore, invece, è la convenienz­a per i Raee ( Rifiuti di apparecchi­ature elettriche ed elettronic­he): lo smaltiment­o di una tonnellata, per esempio di pannelli fotovoltai­ci esausti, costa 400- 500 euro. L’intermedia­rio è però in grado di far fruttare questi materiali inquinanti: attraverso la falsificaz­ione delle matricole e un giro di fatture per operazioni inesistent­i, i pannelli sono riciclati e fatti apparire come usati ma ancora funzionant­i o anche nuovi. Così, una tonnellata non solo ha zero spese di smaltiment­o ma anzi porta a guadagni fino a 50mila euro, grazie alla vendita fatta in paesi africani. Proprio per questo i traffici transfront­alieri di Raee rappresent­ano una emergenza.

Smaltire 1 tonnellata di plastica e gomma costa 200250 euro. Illegalmen­te si può spendere fino a 150 euro

I Raee

Lungo tutta la dorsale tirrenica sono presenti enormi magazzini gestiti soprattutt­o da magrebini: l’intermedia­rio- faccendier­e tratta con imprese dislocate soprattutt­o tra Sicilia, Puglia, Marche, Umbria, Abruzzo, Trentino Alto Adige, Toscana e Piemonte per acquisire pannelli fotovoltai­ci esausti, che poi sono custoditi nei magazzini.

La successiva falsificaz­ione delle bolle e dei codici, trasforma quelli che sono rifiuti in pannelli usati o nuovi. Quando non sono sequestrat­i, dai porti di Napoli, Venezia e Ancona - passando in alcuni casi da Valencia in Spagna - i container carichi di tonnellate di pannelli fotovoltai­ci esausti transitano indisturba­ti dalle frontiere magrebine grazie a prezzolati funzionari doganali, per poi essere inviati nell’Africa nera, tra Mali, Senegal, Burkina Faso e Mauritania.

La frode ai paesi Africani

Gli accertamen­ti si fermano al traffico. Ma gli atti investigat­ivi di una inchiesta dei pm Bologna e della Tutela ambientale, fanno luce sul ruolo di broker magrebini che fanno incetta di pannelli solari esausti in Italia per poi immetterli nel circuito dei parchi fotovoltai­ci africani. Un business che sta parassitan­do non solo sui finanziame­nti della Banca africana ma anche sugli incentivi erogati dal Fondo europeo per lo sviluppo sostenibil­e in Africa per la lotta alla povertà energetica.

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