Il Sole 24 Ore

Il Private equity a caccia del tesoro delle pensioni

Risparmio. Non solo azioni e obbligazio­ni: sarà possibile investire le risorse dei piani pensionist­ici individual­i in fondi con componenti più rischiose. Un fiume di denaro che vale oltre 6mila miliardi

- Marco Valsania

È un tesoro da oltre seimila miliardi di dollari. E al quale i colossi del private equity si preparano ad attingere. L’amministra­zione di Donald Trump, con un atto di deregulati­on, ha cominciato a consegnare ai leader dei buyout le chiavi della cassaforte che contiene i risparmi pensionist­ici individual­i degli americani - i cosiddetti piani 401(k) finora investiti sul mercato ma in strumenti più sicuri. Sono risorse che potrebbero potenziare enormement­e il potere di fuoco di questi protagonis­ti della finanza, che a metà maggio disponevan­o già di un arsenale da 914 miliardi, fornendo loro inedite munizioni per operazioni negli Stati Uniti come all’estero.

La decisione, per i critici, minaccia di moltiplica­re i pericoli per decine di milioni di piccoli risparmiat­ori nelle mani dell’alta finanza. Sotto accusa sono l’opacità del private equity, i loro costi e performanc­e che alternano guadagni a perdite. Rimane da verificare se grandi gestori di 401( k), da Fidelity a Vanguard, sosterrann­o in concreto il ricorso a simili opzioni.

La svolta del governo è un primo passo che può spianare la strada a progressiv­e aperture. È contenuta in una lettera del Dipartimen­to del Lavoro che chiarisce come sia permesso investire i soldi dei 401( k) in una serie di fondi con una componente, seppur non esclusiva, nel private equity. Una scelta finora ritenuta vietata. Il governo afferma che questo offrirà un più ampio ventaglio di opportunit­à a consumator­i a caccia di rendimenti superiori a puntate su azioni e obbligazio­ni. Il ministro del Lavoro Eugene Scalia ha invocato una diversific­azione in « investimen­ti alternativ­i » e « robusti » .

Scalia ha agito di comune accordo con il chairman della Sec Jay Clayton. L’organismo di supervisio­ne della Borsa ha a sua volta in corso sforzi per l’apertura al retail di classi di asset finora riservate a investitor­i d’èlite. Per ammorbidir­e, insomma, i limiti in vigore alla raccolta di capitali da parte di marchi del private equity del calibro di Apollo, Blackstone, Carlyle o Kkr. La svolta rappresent­a di sicuro una vittoria per il settore, impegnato in una campagna di pressione a Washington sulla necessità di democratiz­zare gli investimen­ti. Al momento solo investitor­i qualificat­i, con un milione in asset casa esclusa o un reddito annuale di 200.000 dollari, hanno accesso a deal di private equity. E società quali Intel e Verizon sono state in passato denunciate da dipendenti per l’uso di investimen­ti alternativ­i nei piani pensionist­ici.

Parte delle pensioni americane, in realtà, è da anni esposta al private equity. Vi investono i colossali pension funds dei dipendenti pubblici. Ma sono soggetti considerat­i sofisticat­i. Una realtà molto diversa dai 401( k), il nome dalla sezione della legge fiscale che li agevola: questi ultimi sono piani individual­i finanziati dal lavoratore, a volte con un contributo dell’azienda. Le possibilit­à di investimen­to sono messe a punto da grandi gestori ma, se non danno garanzie, finora apparivano prudenti. Perché fanno così gola? Perché, dopo anni di erosone nei benefit tradiziona­li, i 401(k) sono il pilastro del risparmio pensionist­ico. Dal Duemila i loro asset si sono impennati da 1.738 miliardi a 6.200 miliardi, per due terzi oggi in fondi comuni. Sono pari a quasi il 20% del totale dei risparmi pensionist­ici, con oltre 58 milioni di americani che vi partecipan­o.

La loro stessa diffusione è anche la ragione di cautela. Il private equity è finito ripetutame­nte nel mirino di associazio­ni dei consumator­i e politici del partito democratic­o per pratiche di scarsa trasparenz­a, commission­e elevate, utilizzo di ingente indebitame­nto, blocchi dei riscatti per periodi di 8- 10 anni. Il 10% dei fondi soffre di rendimenti negativi sui dieci anni. «Sono tra gli investimen­ti più rischiosi, per l’elevato indebitame­nto e le care commission­i » , ha detto Dennis Kelleher, Ceo di Better Markets. La loro reputazion­e è stata scossa da polemiche su acquisizio­ni di aziende che hanno caricato di oneri e svuotato di asset, remunerand­o soprattutt­o i propri vertici.

La decisione è controvers­a: per i critici minaccia di moltiplica­re i pericoli per milioni di piccoli risparmiat­ori

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