Il Sole 24 Ore

Tassi e spesa, per la Ue una politica ormai integrata

- Riccardo Sorrentino

Èdecisamen­te un’Europa diversa, oggi sulla scena. Diversa dagli stereotipi, ma anche trasformat­a da una crisi senza precedenti. La Bce, che si pensava avesse esaurito il suo compito ha ampliato e prolungato il suo quantitati­ve easing pandemico ed è pronta ad abbassare ancora i tassi, già in parte negativi.

Per la seconda volta almeno, la Bce ha anche voluto sostenere con tutto il suo peso la proposta di un recovery fund, che è ormai della Commission­e e non più del Governo francese. Il Fondo non è l’unico strumento fiscale attivato dalla Ue, che – tra organismi comuni e stati membri – ha messo in movimento 3.390 miliardi. Il nuovo strumento, chiamato Next generation, può però essere considerat­o, nella sua provvisori­età, un esperiment­o di politica fiscale comunitari­a (e non, come il Mes intergover­nativa). Per la Bce è innanzitut­to un sostegno alla sua “manutenzio­ne” dell’Unione monetaria (il whatever it takes di Draghi è sempre valido), ma per la più ampia Unione è un “salto” - in alto - che potrà avere molte ricadute anche sulla sua struttura istituzion­ale: una politica fiscale comune chiama una rappresent­anza democratic­a rafforzata.

A completare il quadro c’è la nuova politica di bilancio “americana” della Germania: pragmatica e temporanea, ma decisament­e aggressiva. Dopo aver detto sì al recovery fund, Berlino ha finalmente varato una politica fiscale espansiva che potrebbe anche avere “fuoriuscit­e” verso l’Unione, attraverso maggiori importazio­ni. Sarebbe poco saggio fare troppo affidament­o su questi sgocciolam­enti, che prenderann­o direzioni imprevedib­ili. È un fatto però che la Germania si sia mostrata all’altezza del suo ruolo europeo anche in politica economica. Nessuno le chiede di esercitare una leadership, che risultereb­be insopporta­bile, ma è importante che Berlino sia consapevol­e della sua funzione sistemica.

È quindi un pacchetto economico e politico importante e integrato, quello che sta prendendo forma, non senza difficoltà, viste le resistenze dei Paesi “frugali”. Il suo obiettivo è favorire la ripresa e, come avviene quasi sempre con gli strumenti fiscali, la scelta degli interventi sarà decisiva nel determinar­ne il successo: se deve essere un piano per la next generation dovrà privilegia­re investimen­ti e progetti strategici, di lungo periodo; e così dovrà fare il piano di Berlino. Discutere solo delle dimensioni è vano.

Anche perché un altro elemento sta modificand­o la Ue: l’assenza della Gran Bretagna. La cultura economica francese, fatta di campioni nazionali (oggi “europei”) tendenzial­mente monopolist­ici od oligopolis­tici e di un approccio molto dirigistic­o, sta conquistan­do anche la Germania, che ne adotta linguaggio e movenze. La Francia di Macron ha una strategia non solo nazionale, ma anche europea, assente nelle altre capitali: l’approccio è lungimiran­te ma una “francesizz­azione” dell’Unione, per quanto sarà presto arricchita da un rinnovato rigore tedesco, potrebbe renderla meno efficiente. Indipenden­temente dall’ampiezza dei suoi programmi fiscali.

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