Tassi e spesa, per la Ue una politica ormai integrata
Èdecisamente un’Europa diversa, oggi sulla scena. Diversa dagli stereotipi, ma anche trasformata da una crisi senza precedenti. La Bce, che si pensava avesse esaurito il suo compito ha ampliato e prolungato il suo quantitative easing pandemico ed è pronta ad abbassare ancora i tassi, già in parte negativi.
Per la seconda volta almeno, la Bce ha anche voluto sostenere con tutto il suo peso la proposta di un recovery fund, che è ormai della Commissione e non più del Governo francese. Il Fondo non è l’unico strumento fiscale attivato dalla Ue, che – tra organismi comuni e stati membri – ha messo in movimento 3.390 miliardi. Il nuovo strumento, chiamato Next generation, può però essere considerato, nella sua provvisorietà, un esperimento di politica fiscale comunitaria (e non, come il Mes intergovernativa). Per la Bce è innanzitutto un sostegno alla sua “manutenzione” dell’Unione monetaria (il whatever it takes di Draghi è sempre valido), ma per la più ampia Unione è un “salto” - in alto - che potrà avere molte ricadute anche sulla sua struttura istituzionale: una politica fiscale comune chiama una rappresentanza democratica rafforzata.
A completare il quadro c’è la nuova politica di bilancio “americana” della Germania: pragmatica e temporanea, ma decisamente aggressiva. Dopo aver detto sì al recovery fund, Berlino ha finalmente varato una politica fiscale espansiva che potrebbe anche avere “fuoriuscite” verso l’Unione, attraverso maggiori importazioni. Sarebbe poco saggio fare troppo affidamento su questi sgocciolamenti, che prenderanno direzioni imprevedibili. È un fatto però che la Germania si sia mostrata all’altezza del suo ruolo europeo anche in politica economica. Nessuno le chiede di esercitare una leadership, che risulterebbe insopportabile, ma è importante che Berlino sia consapevole della sua funzione sistemica.
È quindi un pacchetto economico e politico importante e integrato, quello che sta prendendo forma, non senza difficoltà, viste le resistenze dei Paesi “frugali”. Il suo obiettivo è favorire la ripresa e, come avviene quasi sempre con gli strumenti fiscali, la scelta degli interventi sarà decisiva nel determinarne il successo: se deve essere un piano per la next generation dovrà privilegiare investimenti e progetti strategici, di lungo periodo; e così dovrà fare il piano di Berlino. Discutere solo delle dimensioni è vano.
Anche perché un altro elemento sta modificando la Ue: l’assenza della Gran Bretagna. La cultura economica francese, fatta di campioni nazionali (oggi “europei”) tendenzialmente monopolistici od oligopolistici e di un approccio molto dirigistico, sta conquistando anche la Germania, che ne adotta linguaggio e movenze. La Francia di Macron ha una strategia non solo nazionale, ma anche europea, assente nelle altre capitali: l’approccio è lungimirante ma una “francesizzazione” dell’Unione, per quanto sarà presto arricchita da un rinnovato rigore tedesco, potrebbe renderla meno efficiente. Indipendentemente dall’ampiezza dei suoi programmi fiscali.