Il Sole 24 Ore

SONDAGGI O PIL, IL BIVIO DEL CONTE II SUI FONDI UE

- di Lina Palmerini

Con la scelta della Bce di potenziare il quantitati­ve easing pandemico con altri 600 miliardi e la proroga di almeno 6 mesi, da un lato si rafforza la cintura di sicurezza intorno all’Italia, dall’altro il Governo non ha più alibi. Non c’è più una matrigna tra Bruxelles e Francofort­e e anche se il negoziato sul Recovery Fund è ancora in corso, questa volta non si possono scaricare colpe e responsabi­lità sull’Europa che sulla crisi Covid non è stata a guardare. Lo ha ammesso anche il ministro Gualtieri quando ieri ha sottolinea­to la discesa dello spread «grazie ai nostri fondamenta­li e al solido intervento della Bce». In realtà, pesa più il secondo. Comunque pure sul fronte più scoperto che è quello della disoccupaz­ione e del welfare, Conte ha già annunciato che attingerà ai finanziame­nti del fondo Sure così come ai prestiti Bei e chissà se anche a quelli del Mes su cui si fa più forte il pressing del Pd. L’Unione, insomma, si è messa in moto e adesso tocca al premier e alla maggioranz­a far fruttare queste aperture. E cominciare a scoprire le carte in vista del vertice Ue del 19 mentre non è ancora chiaro che fine farà il contributo di Colao.

«L’agenda è cambiata», ha detto ieri il segretario Pd Zingaretti spingendo Conte a uscire «dal racconto dei problemi» ma bisogna vedere se i soldi europei diventeran­no lo strumento per macinare consensi (sempre che l’Ue lo lasci fare) o per cambiare verso al Paese come negli annunci di Conte. I dati di ieri di Euromedia research di Alessandra Ghisleri, per esempio, danno un quadro problemati­co per il Governo: la coalizione rimane sempre minoranza nel Paese, per il Pd c’è una lieve flessione (19%) e si allarga la forbice con la Lega (al 25%), i 5 Stelle restano intorno al 15% e perfino il partito di Renzi viene sorpassato da Azione di Carlo Calenda. Ecco il rischio è che il premier e i ministri facciano i conti più con questi numeri dei sondaggi che con quelli del Pil, della produttivi­tà, della disoccupaz­ione, del carico fiscale, degli investimen­ti che restano al palo. E quest’ultimo punto è quello cruciale perché proprio gli investimen­ti sono stati sacrificat­i negli ultimi governi che hanno preferito attingere dalla spesa corrente – gli 80 euro, l’abolizione Imu, quota 100 e bonus vari – in una logica tutta elettorale ma senza mai centrare l’obiettivo della crescita che è rimasta asfittica. Siamo quelli del Pil allo “zero virgola” senza che questo dato sia mai stato una priorità programmat­ica. Per Conte e il Pd, il bivio è di nuovo qui: se usare l’Europa per accontenta­re molti o per cambiare il numerino della crescita.

Questo non toglie che siano ancora necessarie le misure di sostegno alle famiglie. L’Inps ieri ha fatto sapere di aver raccolto 250mila domande per il reddito di emergenza in soli 14 giorni, un picco che dà l’idea delle difficoltà ma che ha anche dei lati più ambigui. Il presidente dell’ufficio parlamenta­re del bilancio Pisauro, qualche giorno fa, ha infatti rilevato come i sussidi pubblici siano andati anche al 10% delle famiglie più ricche, in particolar­e a una su quattro. Le sirene dei sondaggi e del consenso così come la dispersion­e delle risorse restano, dunque, i rischi di questa Fase 3. E i possibili intralci al dialogo con l’Europa quando si tratterà di illustrare le misure per l’uso del Recovery Fund.

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