SONDAGGI O PIL, IL BIVIO DEL CONTE II SUI FONDI UE
Con la scelta della Bce di potenziare il quantitative easing pandemico con altri 600 miliardi e la proroga di almeno 6 mesi, da un lato si rafforza la cintura di sicurezza intorno all’Italia, dall’altro il Governo non ha più alibi. Non c’è più una matrigna tra Bruxelles e Francoforte e anche se il negoziato sul Recovery Fund è ancora in corso, questa volta non si possono scaricare colpe e responsabilità sull’Europa che sulla crisi Covid non è stata a guardare. Lo ha ammesso anche il ministro Gualtieri quando ieri ha sottolineato la discesa dello spread «grazie ai nostri fondamentali e al solido intervento della Bce». In realtà, pesa più il secondo. Comunque pure sul fronte più scoperto che è quello della disoccupazione e del welfare, Conte ha già annunciato che attingerà ai finanziamenti del fondo Sure così come ai prestiti Bei e chissà se anche a quelli del Mes su cui si fa più forte il pressing del Pd. L’Unione, insomma, si è messa in moto e adesso tocca al premier e alla maggioranza far fruttare queste aperture. E cominciare a scoprire le carte in vista del vertice Ue del 19 mentre non è ancora chiaro che fine farà il contributo di Colao.
«L’agenda è cambiata», ha detto ieri il segretario Pd Zingaretti spingendo Conte a uscire «dal racconto dei problemi» ma bisogna vedere se i soldi europei diventeranno lo strumento per macinare consensi (sempre che l’Ue lo lasci fare) o per cambiare verso al Paese come negli annunci di Conte. I dati di ieri di Euromedia research di Alessandra Ghisleri, per esempio, danno un quadro problematico per il Governo: la coalizione rimane sempre minoranza nel Paese, per il Pd c’è una lieve flessione (19%) e si allarga la forbice con la Lega (al 25%), i 5 Stelle restano intorno al 15% e perfino il partito di Renzi viene sorpassato da Azione di Carlo Calenda. Ecco il rischio è che il premier e i ministri facciano i conti più con questi numeri dei sondaggi che con quelli del Pil, della produttività, della disoccupazione, del carico fiscale, degli investimenti che restano al palo. E quest’ultimo punto è quello cruciale perché proprio gli investimenti sono stati sacrificati negli ultimi governi che hanno preferito attingere dalla spesa corrente – gli 80 euro, l’abolizione Imu, quota 100 e bonus vari – in una logica tutta elettorale ma senza mai centrare l’obiettivo della crescita che è rimasta asfittica. Siamo quelli del Pil allo “zero virgola” senza che questo dato sia mai stato una priorità programmatica. Per Conte e il Pd, il bivio è di nuovo qui: se usare l’Europa per accontentare molti o per cambiare il numerino della crescita.
Questo non toglie che siano ancora necessarie le misure di sostegno alle famiglie. L’Inps ieri ha fatto sapere di aver raccolto 250mila domande per il reddito di emergenza in soli 14 giorni, un picco che dà l’idea delle difficoltà ma che ha anche dei lati più ambigui. Il presidente dell’ufficio parlamentare del bilancio Pisauro, qualche giorno fa, ha infatti rilevato come i sussidi pubblici siano andati anche al 10% delle famiglie più ricche, in particolare a una su quattro. Le sirene dei sondaggi e del consenso così come la dispersione delle risorse restano, dunque, i rischi di questa Fase 3. E i possibili intralci al dialogo con l’Europa quando si tratterà di illustrare le misure per l’uso del Recovery Fund.