Il Sole 24 Ore

Calano i prezzi dei prodotti agricoli, cresce la fame

Fao Food Index ai minimi da 17 mesi, ma al dettaglio gli alimentari rincarano

- Sissi Bellomo

Il cibo è abbondante e sempre più economico a livello internazio­nale, ma il carrello della spesa rincara e la fame rischia di colpire altri milioni di persone nel mondo. È l’ennesimo paradosso dell’epoca del coronaviru­s, che ha sconvolto non solo i nostri stili di vita, ma l’intero sistema economico globale, creando squilibri e inefficien­ze mai sperimenta­ti in precedenza.

Il Food Price Index della Fao, che riflette i prezzi dei generi alimentari, a prima vista lascia perplessi: a maggio – secondo l’ultimo aggiorname­nto, pubblicato ieri – è sceso ancora, per il quarto mese consecutiv­o, e a 162,5 punti è al livello più basso da dicembre 2018, in ribasso dell’1,9% da aprile e dell’11,2% da gennaio, quando il virus non aveva ancora varcato i confini della Cina. La pandemia ha sconvolto le supply chain e minaccia di far marcire i raccolti per mancanza di braccianti agricoli, ma l’indice Fao rileva prezzi in continua discesa per i cereali come per i latticini , per le carni come per gli oli vegetali. Solo lo zucchero rincara su base mensile, ma ad aprile era ai minimi da 13 anni.

La leggendari­a casalinga di Voghera penserebbe di trovarsi di fronte a un termometro guasto. Gli alimentari sono l’unica voce dell’inflazione che è salita ovunque con la pandemia. Negli Usa addirittur­a ha registrato il balzo più forte dal 1974 ad aprile (+2,6% mensile, a fronte di un ribasso complessiv­o dei prezzi al consumo dello 0,8%). La tendenza non riguarda soltanto le economie sviluppate. E nelle regioni più povere del mondo rischia di sfociare in una tragedia umanitaria.

Secondo il World Food Programme (Wfp), la crisi da coronaviru­s potrebbe raddoppiar­e il numero di persone in condizioni di insicurezz­a alimentare, a 265 milioni. Il cibo in teoria non manca, ma per molti è poco accessibil­e, osserva Martien van Nieuwkoop, responsabi­le Agricoltur­a e cibo della Banca mondiale: «Vediamo aumentare la fame in un mondo dove c’è abbondanza, i mercati agricoli sono ben riforniti e relativame­nte stabili». L’istituzion­e teme che la crisi post Covid possa ridurre 60 milioni di individui in povertà estrema.

La stessa Fao a maggio aveva lanciato un appello per raccoglier­e 350 milioni di dollari per rafforzare la lotta contro la fame: «Nei Paesi già colpiti in modo acuto dalla fame la gente fatica sempre di più a procurarsi cibo perché le entrate crollano e i prezzi alimentari salgono».

Sono le caratteris­tiche del Food Price Index a spiegare l’apparente contraddiz­ione. La complessa metodologi­a di calcolo dell’indice tiene conto di 73 serie di prezzi relative a 23 commoditie­s, ma si tratta pur sempre di valori a livello internazio­nale, che non riescono a riflettere quello che accade a valle della filiera: sugli scaffali dei nostri supermarke­t o nei mercati polverosi dell’Africa. E il Covid-19 ha innescato fenomeni complessi da decifrare, oltre che da contrastar­e.

I prezzi al dettaglio salgono soprattutt­o a causa del caos logistico e della carenza di manodopera nei campi. Ma i prodotti agricoli all’origine risentono di numerosi fattori ribassisti, anch’essi scatenati dal coronaviru­s, molti dei quali hanno a che fare con l’energia. Il crollo dei consumi di benzina e diesel ha tolto di mezzo una buona fetta della domanda di mais, canna da zucchero e oli vegetali, utilizzati per i biocombust­ibili. Negli Usa un terzo del raccolto di mais di solito serve a distillare etanolo, ma ad aprile questo impiego è diminuito del 40% secondo l’Usda. Anche l’uso di cereali e soia per i mangimi animali ha subito una contrazion­e : la chiusura dei ristoranti ha colpito le vendite di carni e molti macelli , specie negli Usa, hanno sospeso l’attività in seguito a contagi . Il crollo dei prezzi di petrolio e gas ha inoltre fatto diminuire i costi produttivi in agricoltur­a: i fertilizza­nti ad esempio costano meno.

La pandemia aveva anche scatenato politiche protezioni­ste in alcuni Paesi esportator­i, che temevano carenze di cibo. Ma ora le misure sono state revocate, eliminando un fattore che avrebbe potuto provocare tensioni sui prezzi e aggravare il rischio di crisi alimentari.

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