Fincantieri, al via il piano di Naviris sulla ricerca congiunta
Sulla fornitura all’Egitto atteso l’ok definitivo di Palazzo Chigi
È considerato la chiave di volta per la cooperazione a lungo termine tra le due sponde. Perché il primo contratto di ricerca e tecnologia siglato ieri da Naviris, la joint venture paritetica tra Fincantieri e il colosso francese della difesa Naval Group, con Occar (l’Organizzazione europea per la cooperazione in materia di armamenti), consolida l’asse tra Roma e Parigi nel naviglio militare e apre la strada a cinque progetti. Con l’obiettivo puntato sui seguenti filoni: la nave digitale per migliorare la definizione progettuale e le operazioni quotidiane a bordo; l’ottimizzazione del consumo di energia; la realizzazione di celle a combustibile; la logistica del futuro, anche per ottimzizzare i costi; e, infine, la messa a punto di soluzioni ingegneristiche per rafforzare la sicurezza navale.
Insomma, un primo passo, come ha spiegato ieri l’ad di Naviris, Claude Centofanti, che ha firmato l’accordo con il direttore operativo della jv, Enrico Bonetti, «per futuri progetti europei riguardanti attività di ricerca comune ma anche l’evoluzione dei concept e della produzione delle navi per la Francia, l’Italia e per l’export». Dove i due gruppi sono già impegnati, per il tramite di Naviris, come hanno ricordato ieri l’ad di Fincantieri Giuseppe Bono e il ceo di NG, PierreEric Pommellet, nel progetto di ammodernamento di mezza vita dei cacciatorpediniere della classe Orizzonte e nel programma European Patrol Corvette (Epc), presentato nell’ambito della Cooperazione strutturata permanente (Pesco), che vede l’Italia nel ruolo di Paese guida e la Francia come partner.
Il contratto siglato ieri con il direttore di Occar, Matteo Bisceglia, rafforza quindi la cooperazione tra Fincantieri e l’ex Dcns nelle navi militari, sotto l’egida della stessa Occar, che è anche il regista del programma italofrancese Fremm, con le ultime due unità costruite da Fincantieri per la Marina militare italiana (che saranno rimpiazzate) e destinate ora, come noto, all’Egitto. Che, negli ultimi 5 anni, ha acquistato ingenti dotazioni di armi e mezzi militari soprattutto in Usa, Russia e in Europa (dove, solo considerando le forniture assicurate da Francia e Germania, sono stati spesi dal governo del Cairo quasi 13 miliardi di euro) e rappresenta perciò un mercato strategico irrinunciabile per l’Italia e per l’intera filiera nazionale della difesa oltre che un alleato cruciale, anche per le sue relazioni commerciali, nello scacchiere geopolitico africano. Con cui il governo ha l’opportunità di stringere ulteriormente l’asse attraverso questa nuova partita, senza contare che l’Egitto sarebbe interessato anche all’acquisto di ulteriori 4 fregate e di circa venti pattugliatori. Non a caso, la scorsa settimana, nel corso di un’audizione in commissione Difesa al Senato, l’ad Bono ha detto che i contratti ottenuti all’estero «ci consentono di essere protagonisti» e «di favorire i rapporti tra Paesi. Stiamo definendo gli ultimi dettagli e questo sarà un successo per il Paese». Un chiaro riferimento al dossier egiziano su cui è atteso ora il via libera definitivo di Palazzo Chigi dopo che sull’operazione si è già espresso positivamente l’Uama (l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento), l’ente della Farnesina incaricato di dare l’ok all’export di armamenti verso Paesi stranieri che ha già autorizzato la società a trattare con la controparte egiziana.