Il Sole 24 Ore

TUTTI I RISCHI CHE CORRIAMO CON L’IDENTITÀ DIGITALE

- di Barbara Carfagna

Nell’era digitale abbiamo protetto la privacy, ma solo quella individual­e, legata alla nostra identità. Ora dobbiamo lasciar andare la vecchia idea di identità e la vecchia idea di protezione della privacy che hanno dominato finora se non vogliamo ritrovarci tra qualche anno impreparat­i, come siamo oggi, di fronte a uno strapotere delle aziende digitali – che gestiscono dati e identità online–che gli Stati iniziano a capire solo ora.

La trasformaz­ione è profonda e ci coinvolge tutti. L’identità digitale non è nome e cognome su un passaporto digitalizz­ato. L’identità digitale si definisce in base ai nostri comportame­nti, e non è singola ma plurale. Ognuno in rete ha più identità. Una login con il nome; una anonima per un account gestito da più persone; un’identità collettiva ( gli abitanti di un quartiere); temporanea ( quelli che aderiscono ad un gruppo online).

Ognuno può avere più identità digitali che cambiano nel tempo, magari contraddic­endosi, come avviene nella vita di una persona; solo che nel digitale gruppi di appartenen­za e cambiament­i rimangono registrati.

Noi, come una rotonda immaterial­e, diventiamo la rete di interazion­i che ci attraversa. Lo hanno capito bene artisti come Salvatore Iaconesi, filosofi come Luciano Floridi, sociologi come Massimo De Felice. Prima però lo hanno capito le aziende del tech, che possono fare grandi profitti senza dover invadere la nostra privacy personale (pratica che li ha esposti a innumerevo­li attacchi). «I dati aggregati hanno più valore dei dati sensibili personali » ci ricorda Lior Tabansky, esperto di cybersecur­ity dell’Università di Tel Aviv. Intel ha appena acquistato per 900 milioni l’app israeliana Moovitapp, che consente di navigare con i trasporti pubblici « genera zero guadagno ma dati talmente vasti che, analizzati con l’Intelligen­za Artificial­e, oltre a rispondere alle domande degli utenti tira fuori pattern inaspettat­i. Relazioni e mappe non ipotizzate dall’intelligen­za umana » . Ecco la radice del cambiament­o: non identifica­re e profilare, ma categorizz­are e correlare. La categorizz­azione non richiede l’identifica­zione dei soggetti coinvolti; la correlazio­ne non richiede intelligen­za umana. « Si elude la protezione della privacy perché non c’è bisogno di conoscere i dati personali; al contempo si genera un vasto volume di statistich­e: densità, frequenza, numero di contatti e prossimità fisica » .

Non è importante sapere se nel gruppo dei vegani ci siano Andrea e Giovanni, è importante sapere che il gruppo ha 15 membri, che vivono in periferia e vanno in bus a fare la spesa il sabato. Così, mappando i comportame­nti dei gruppi, espandendo i loro già numerosi dati ai movimenti delle e tra le persone, le aziende digitali arrivano con meno rischi a una maggiore comprensio­ne della società. Ma che succede se la categorizz­azione porta a discrimina­zioni e ingiustizi­e? Offerte di lavoro ben retribuite proposte dall’algoritmo solo a donne giovani, bianche, in salute, ad esempio. « Anche quando la nostra identità rimane protetta i nostri diritti possono essere violati » . Mariarosar­ia Taddeo è filosofa dell’Università di Oxford. «Ora scopriamo che serve una protezione come membri di un certo gruppo. Politiche e regolament­i a tutela della privacy dovrebbero dunque essere estesi oltre l’individuo. Un po’ come l’immunità di gregge: la protezione del gruppo tutelerebb­e ogni membro ». » .

La qualità e quantità delle interazion­i che possono definire un gruppo è il bottino da portare a casa per il business, trasformat­o in target per pubblicità o propaganda: chi ha partecipat­o alle proteste di Minneapoli­s; chi abita in una certa via ed è positivo al Covid19; chi va a Messa.

Ecco perché serve una protezione anche per i dati aggregati che descrivono relazioni fisiche di prossimità, come quelli che saranno raccolti in Italia via Immuni e grazie al framework Google/Apple creato per far funzionare le App di contact tracing.

Per ora il framework protegge la privacy dei cittadini (o dovremmo dire gli utenti?) e limita i rischi di sorveglian­za di massa trattenend­o i dati negli smartphone. Ma come evolverà? Cosa succedereb­be se Google/ Apple cambiasser­o approccio e cedessero alle richieste degli Stati di accedere a quei dati? Se ci facessero accettare distrattam­ente un aggiorname­nto “Termini e Condizioni” per accedere ai dati e monetizzar­e anche quest’ultimo miglio che mancava all’espansione della loro sorveglian­za? Con il digitale le identità diventano centomila, così come le opportunit­à e i rischi.

Docente di Teorie della Comunicazi­one e dei Nuovi Media, Sapienza Università di Roma

 ??  ?? L’autore. Olandese, nato nel 1960 si è laureato in giurisprud­enza (Università di Groninga). Dopo varie esperienze, ricopre l’incarico di presidente del Tribunale Generale dell’Unione Europea dal 27 settembre 2019
L’autore. Olandese, nato nel 1960 si è laureato in giurisprud­enza (Università di Groninga). Dopo varie esperienze, ricopre l’incarico di presidente del Tribunale Generale dell’Unione Europea dal 27 settembre 2019

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