Il Sole 24 Ore

I partiti frenano Conte sugli Stati generali: «Prima consultiam­oci»

Franceschi­ni al premier: «Hai fatto tutto da solo». Ora un documento condiviso

- Emilia Patta Manuela Perrone

Neanche il tempo di essere annunciati che gli Stati generali già rischiano di saltare. Il confronto con parti sociali, associazio­ni di categoria e opposizion­i anticipato da Giuseppe Conte mercoledì scorso è sembrato più una fuga solitaria del premier che non un progetto condiviso all’interno del governo. Tanto da costringer­e Conte a convocare in fretta e furia ieri pomeriggio una riunione con i capidelega­zione di M5S, Pd, Iv e Leu, presenti anche il ministro dem dell’Economia, Roberto Gualtieri, e il titolare dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli.

«Come hai potuto pensare di fare un annuncio così importante senza consultarc­i?», è sbottato il dem Dario Franceschi­ni. «Non si ricostruis­ce in tre giorni un Paese dopo una “guerra” come quella che abbiamo vissuto. Non possiamo permetterc­i di alimentare aspettativ­e che possono essere disilluse in un momento tanto delicato per tutti gli italiani». Nel mirino è finito il metodo, innanzitut­to. Ma anche il merito. Perché, come ha sottolinea­to la ministra renziana Teresa Bellanova, che si è trovata nell’inedita veste di mediatrice, citando i casi Alitalia e Ilva, «sono ancora tanti i punti divisivi su cui bisogna trovare una sintesi. Visto che ormai l’annuncio è stato fatto, almeno facciamo in modo di arrivare al confronto con imprese e sindacati con contenuti e priorità condivise». Da qui l’idea di spostare l’avvio degli Stati generali da lunedì almeno a metà settimana. Nel frattempo, saranno Conte e Gualtieri a mettere a punto un primo documento da consegnare ai partiti della maggioranz­a lunedì sera per tornare a riunirsi martedì.

È il tentativo di recuperare in corsa la scivolata in avanti di Conte e di riempire di qualche contenuto quello scheletro di “Recovery Plan” che agli alleati è parso soprattutt­o una scatola vuota, un «elenco di titoli» impossibil­e da offrire come base di dialogo alle parti sociali senza rischiare di ingenerare rabbia. Dubbi anche nel M5S, pure se la viceminist­ra dell’Economia, Laura Castelli, che ha partecipat­o al vertice in sostituzio­ne di Alfonso Bonafede, che ha invitato la maggioranz­a a concentrar­si per trasformar­e comunque l’evento «in un’opportunit­à».

La questione ha occupato gran parte della lunga riunione di ieri, con la conseguenz­a ulteriore che il nodo Autostrade è stato rinviato alla prossima settimana. Sullo sfondo, però, a dividere restano almeno altri due fronti importanti: da un lato il Mes (si veda l’articolo in pagina), dall’altro le voci insistenti sulla volontà del premier di scendere in campo in prima persona con un suo partito, che ieri un sondaggio di YouTrend per SkyTg24 ha stimato con un potenziale 14,3% (il bacino elettorale arriverebb­e soprattutt­o dal Pd e dal M5S). Uno scenario che naturalmen­te ha suscitato irritazion­e in casa dem e pentastell­ata, irritazion­e accresciut­a dalle voci di una possibile candidatur­a del premier alle suppletive per il Senato in Sardegna in autunno, con il sostegno degli alleati gialloross­i. Anche se Conte si è affrettato ad allontanar­e l’eventualit­à, commentand­o con i suoi che l’ipotesi non è stata neanche considerat­a.

Quanto al Mes, la strategia del premier resta quello di arrivare a un voto unico in Parlamento sull’intero pacchetto di aiuti Ue, dunque non prima del 9 luglio quando le regole sul Recovery Fund saranno siglate dai capi di Stato e di governo. «Se si tratta di attendere venti giorni va bene - dicono autorevoli fonti governativ­e del Pd - ma prima o poi bisognerà arrivare a una decisione, perché è assurdo sprecare l’opportunit­à di 36 miliardi per la sanità». Per questo dal Pd arriva anche sulla legge elettorale una mano tesa a Fi, che ha già fatto sapere che sul Mes voterà con la maggioranz­a staccandos­i da Lega e Fdi. Ed è Matteo Salvini ad avvertire l’alleato, anche pensando alle regionali: «Berlusconi a volte non lo capisco, il fatto che usi la stessa lingua di Renzi e Prodi mi lascia dei dubbi».

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