I partiti frenano Conte sugli Stati generali: «Prima consultiamoci»
Franceschini al premier: «Hai fatto tutto da solo». Ora un documento condiviso
Neanche il tempo di essere annunciati che gli Stati generali già rischiano di saltare. Il confronto con parti sociali, associazioni di categoria e opposizioni anticipato da Giuseppe Conte mercoledì scorso è sembrato più una fuga solitaria del premier che non un progetto condiviso all’interno del governo. Tanto da costringere Conte a convocare in fretta e furia ieri pomeriggio una riunione con i capidelegazione di M5S, Pd, Iv e Leu, presenti anche il ministro dem dell’Economia, Roberto Gualtieri, e il titolare dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli.
«Come hai potuto pensare di fare un annuncio così importante senza consultarci?», è sbottato il dem Dario Franceschini. «Non si ricostruisce in tre giorni un Paese dopo una “guerra” come quella che abbiamo vissuto. Non possiamo permetterci di alimentare aspettative che possono essere disilluse in un momento tanto delicato per tutti gli italiani». Nel mirino è finito il metodo, innanzitutto. Ma anche il merito. Perché, come ha sottolineato la ministra renziana Teresa Bellanova, che si è trovata nell’inedita veste di mediatrice, citando i casi Alitalia e Ilva, «sono ancora tanti i punti divisivi su cui bisogna trovare una sintesi. Visto che ormai l’annuncio è stato fatto, almeno facciamo in modo di arrivare al confronto con imprese e sindacati con contenuti e priorità condivise». Da qui l’idea di spostare l’avvio degli Stati generali da lunedì almeno a metà settimana. Nel frattempo, saranno Conte e Gualtieri a mettere a punto un primo documento da consegnare ai partiti della maggioranza lunedì sera per tornare a riunirsi martedì.
È il tentativo di recuperare in corsa la scivolata in avanti di Conte e di riempire di qualche contenuto quello scheletro di “Recovery Plan” che agli alleati è parso soprattutto una scatola vuota, un «elenco di titoli» impossibile da offrire come base di dialogo alle parti sociali senza rischiare di ingenerare rabbia. Dubbi anche nel M5S, pure se la viceministra dell’Economia, Laura Castelli, che ha partecipato al vertice in sostituzione di Alfonso Bonafede, che ha invitato la maggioranza a concentrarsi per trasformare comunque l’evento «in un’opportunità».
La questione ha occupato gran parte della lunga riunione di ieri, con la conseguenza ulteriore che il nodo Autostrade è stato rinviato alla prossima settimana. Sullo sfondo, però, a dividere restano almeno altri due fronti importanti: da un lato il Mes (si veda l’articolo in pagina), dall’altro le voci insistenti sulla volontà del premier di scendere in campo in prima persona con un suo partito, che ieri un sondaggio di YouTrend per SkyTg24 ha stimato con un potenziale 14,3% (il bacino elettorale arriverebbe soprattutto dal Pd e dal M5S). Uno scenario che naturalmente ha suscitato irritazione in casa dem e pentastellata, irritazione accresciuta dalle voci di una possibile candidatura del premier alle suppletive per il Senato in Sardegna in autunno, con il sostegno degli alleati giallorossi. Anche se Conte si è affrettato ad allontanare l’eventualità, commentando con i suoi che l’ipotesi non è stata neanche considerata.
Quanto al Mes, la strategia del premier resta quello di arrivare a un voto unico in Parlamento sull’intero pacchetto di aiuti Ue, dunque non prima del 9 luglio quando le regole sul Recovery Fund saranno siglate dai capi di Stato e di governo. «Se si tratta di attendere venti giorni va bene - dicono autorevoli fonti governative del Pd - ma prima o poi bisognerà arrivare a una decisione, perché è assurdo sprecare l’opportunità di 36 miliardi per la sanità». Per questo dal Pd arriva anche sulla legge elettorale una mano tesa a Fi, che ha già fatto sapere che sul Mes voterà con la maggioranza staccandosi da Lega e Fdi. Ed è Matteo Salvini ad avvertire l’alleato, anche pensando alle regionali: «Berlusconi a volte non lo capisco, il fatto che usi la stessa lingua di Renzi e Prodi mi lascia dei dubbi».