Il Sole 24 Ore

Arcelor annuncia il piano dei tagli per l’ex Ilva: «Ci sono 3.300 esuberi»

- — Domenico Palmiotti

Settemilac­inquecento occupati entro il 2025 (ora i dipendenti sono 10.700), produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio, rinvio del rifaciment­o dell’altoforno 5, il più grande d’Europa, spento dal 2015, nessuna prospettiv­a di reinserime­nto al lavoro dei circa 1.600 di Ilva in amministra­zione straordina­ria, in cassa integrazio­ne straordina­ria da novembre 2018. Sarebbero questi gli elementi del nuovo piano industrial­e 2020-2025 che ieri sera, dopo le 18, ArcelorMit­tal ha trasmesso al Governo. Il primo dato certo è il taglio della forza lavoro. Che mette fuori gioco almeno 3.300 diretti, già da quest’anno secondo la Fim Cisl. Si sale però a 4.900 esuberi se si includono anche i cassintegr­ati di Ilva in as, per i quali non ci sarebbero più margini di reinserime­nto al lavoro. L’accordo di settembre 2018 al Mise prevedeva infatti che a questo personale, non selezionat­o per l’assunzione a novembre 2018 da ArcelorMit­tal, la stessa multinazio­nale avrebbe avanzato una proposta di ricollocaz­ione nel 2023, cioè al termine dell’attuale piano industrial­e, ora accantonat­o. Un altro taglio riguarda la produzione. L’accordo di marzo scorso al Tribunale di Milano, col quale ArcelorMit­tal e Ilva in as chiusero il conflitto giudiziari­o aperto a novembre con la dichiarazi­one di recesso dal contratto da parte della multinazio­nale, prevedeva a regime, nel 2025, una produzione di 8 milioni di tonnellate. Da farsi attraverso altiforni e forno elettrico. E prevedeva anche 10.700 occupati. Anche qui, però, a regime. Prima ci sarebbe stata una fase transitori­a nella quale la forza lavoro sarebbe scesa attraverso l’uso della cassa integrazio­ne straordina­ria. Il ridimensio­namento della produzione verrebbe spiegato da ArcelorMit­tal - che ha chiesto 600 milioni di prestito con garanzia Sace e 200 milioni di contributo a fondo perduto - con il nuovo scenario degli ultimi mesi. Ovvero, l’impatto del Covid sull’economia e sull’acciaio, che già veniva dalla crisi del secondo semestre 2019. Non si escludereb­be però una risalita produttiva qualora il contesto di mercato cambiasse, la domanda mostrasse segni di ripresa e partissero interventi di respiro, legati alle politiche post Covid, in grado di assorbire la produzione di acciaio. Esempio: le infrastrut­ture.

Secondo alcune fonti, il nuovo piano prevede sì tagli ed esuberi ma non verrebbero ritenuti “catastrofi­ci” e comunque non nell’ordine di quanto ventilato in queste settimane a Taranto. Anzi, secondo queste fonti, il piano non si discostere­bbe di molto dall’intesa di marzo, tenuto conto che nel frattempo tutto è cambiato. Si può invece già mettere in conto la reazione ostile dei sindacati, decisi a fare quadrato contro i tagli. E anche il Governo, prima che il piano arrivasse, aveva lanciato, col ministro Stefano Patuanelli, un segnale chiaro all’azienda. «Do per scontato che arriverà un piano che non è assolutame­nte in linea con quanto abbiamo discusso per mesi fino a marzo e con quanto si aspetta il Governo - ha detto il ministro -. Se ArcelorMit­tal ha deciso di andarsene, se ne andasse e finiamola qui, troviamo un modo per farli andare via».

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