Effetto Darnella sui brand, il vero stress test dell’attivismo
La questione multirazziale. Da YouTube a Disney, da Amazon a Coca-Cola, con P&G, Bcg e Nike: tutti in campo per la diversity non solo fuori ma anche dentro l’azienda, leadership compresa
Scendere in campo. O meglio in rete. Perché nel tempo del distanziamento sociale e dello smartworking esteso anche lo sciopero diventa virtuale. È successo a Facebook, dove alcuni dipendenti hanno manifestato contro la decisione dell’azienda di non bloccare i messaggi del Presidente Trump sulle mobilitazioni per la morte di George Floyd.
Metterci la propria faccia significa anche metterci la propria firma. Per la prima volta le persone al lavoro da casa per via dell’emergenza sanitaria hanno impostato il classico messaggio via mail del “fuori sede” con una dichiarazione di protesta. «La decisione di Facebook di non agire su post che incitano alla violenza non riesce a mantenere la nostra comunità al sicuro», ha dichiarato in un tweet Trevor Phillippi, designer dell’interfaccia di Facebook Messenger. «Mark ha torto e mi impegnerò nel modo più rumoroso possibile per fargli cambiare idea», ha tuonato Ryan Freitas, manager che guida il News Feed. Il colosso di Menlo Park all’inizio si è difeso, giustificandosi di non aver violato le proprie politiche. Salvo poi fare un parziale dietrofront: «Riconosciamo il dolore che molte delle nostre persone stanno provando in questo momento, in particolare la nostra comunità nera», ha scritto Mark Zuckerberg, annunciando una donazione di 10 milioni di dollari a gruppi impegnati per la giustizia razziale. «La risposta automatica via mail oggi diventa l’occasione per rappresentare le proprie istanze critiche anche verso l’azienda. Quello che sta accadendo a Facebook colpisce ancora di più se confrontato con le azioni degli altri colossi. Penso alla posizione nettissima di Twitter, TikTok e Snapchat contro Trump. Non è così ovvio e scontato che i social media, che fino a ieri erano distanti dalle posizioni politiche, decidano di schierarsi», afferma Annamaria Testa, esperta di comunicazione, saggista e blogger. Prendere posizione. Dall’interno verso l’esterno delle mura aziendali, oggi più fragili rispetto al passato. «Questo percorso è cominciato tempo fa, quando abbiamo iniziato a parlare di CSR e le aziende hanno iniziato a compilare i primi bilanci etici, decidendo di promuovere sponsorizzazioni distanti dal loro business primario. In questo contesto la coerenza tra azioni e narrazioni è centrale: “inquino ma pianto alberi in Brasile” oggi non è più tollerato come prima», precisa Testa.
Effetto Darnella sui brand
Per Facebook il paradosso di questo attivismo interculturale è che tutto parte da un video caricato sulla sua piattaforma. A compiere questo gesto semplice e stavolta dirompente è stata Darnella Frazier. Questa diciassettenne afroamericana di Minneapolis, definita la Rosa Parks della sua generazione dal Daily Mail, armata di smartphone e di coraggio si è ritrovata al centro della storia, documentando la morte di George Floyd. Effetto Darnella sui brand americani: così ha scritto Adage.com. Esattamente come è avvenuto con un’altra giovane eroina: Greta Thunberg, riferimento mondiale nelle battaglie ambientaliste, generatrice per il Financial Times dell’effetto Greta sulle aziende, ossia della reazione dei brand diventati eco-guerrieri.
Dalle piazze reali a quelle virtuali, andata e ritorno: dopo il video di Darnella, al quale sono seguite le mobilitazioni, tanti brand hanno preso posizione. Apripista è stata Nike, con uno spot di sessanta secondi veicolato sui social. Un messaggio rivoluzionario per il colosso statunitense, che ha proposto addirittura la modifica del proprio claim: tutti siamo parte del cambiamento, non bisogna far finta di niente. «Lo spot ribalta lo slogan storico Just do it che diventa un Don’t do it. Questo commercial con sfondo nero e senza immagini evocative o epiche legate allo sport è un messaggio vibrante che stabilisce un punto di svolta: di fatto Nike arriva a mettere in gioco la propria identità più profonda», commenta Testa. A ruota poi una pluralità di marche si sono schierate contro la violenza razzista e per l’inclusione. «C’è in atto una competizione sfrenata su mercati globali e l’anima della marca è sempre più centrale e distintiva, altrimenti si diventa intercambiabili. Questa comunicazione è divisiva, ma intercetta una parte nuova di pubblico. Oggi alcune imprese hanno una forza tale da non legarsi soltanto alla prossima trimestrale. In fondo si fa politica: dalla scelta dal packaging alla relazione con i propri pubblici, fino al racconto dei propri prodotti o servizi. Ma attenzione, non c’è improvvisazione, ma una nuova visione e consapevolezza», precisa Testa.
Le nuove azioni e narrazioni
L’ effetto Dar nella ha coinvoltoYou Tube, Disney, Amazon e Netflix. Procter & Gamble ha deciso di sostenere con 5 milioni di dollari diverse organizzazioni multirazziali. Warner Bros ha reso gratuita la visione di Just Mercy. La pellicola, uscita lo scorso anno, racconta le ingiustizie razziali che i neri affrontano in tribunale. Da Floyd alle altre vittime della violenza. “Erano tutti uno di noi”, recita il testo del video promosso sui social da McDonald’s. Mentre BCG ha listato a lutto le pagine con un messaggio di solidarietà per la comunità afroamericana. Ma si arriva anche a coraggiose ammissioni dicolpa.JamesQu in cey,allagui dadi Coca-Cola,h ascritto di non aver fatto abbastanza per gli afroamericani in posizioni di leadership. E si è impegnato a donare 2,5 milioni di dollari all’Equal Justice Initiative. «Rappresentano il 19% della popolazione totale dei nostri dipendenti, ma solo il 7% occupa posizioni manageriali», si legge sul blog aziendale. E poi ci sono le agenzie con provocazioni mai viste rivolte agli stessi clienti. «Che tipo di cambiamento stai pianificando perla tua azienda? Perché il tuo leadership team non è multirazziale? Il cambiamento arriva dall’interno», ha scritto Saatchi & Saatchi. In fondo leadership e coerenza diventano due facce della stessa medaglia. È quanto ha scritto l’Harvard Business Review. «La buona guida afferisce anche la comunicazione del purpose aziendale. In una crisi senza precedenti dipendenti e clienti hanno fame di informazioni, ma spesso siamo tentati di comunicare con urgenza anziché con un’attenta pianificazione. Dobbiamo coinvolgere e lavorare per tempo in fase non emergenziale», ha scritto Nancy DuartesuHBR. Schierarsisì, mamettendoci la testa oltre che il cuore.