Il Sole 24 Ore

Effetto Darnella sui brand, il vero stress test dell’attivismo

La questione multirazzi­ale. Da YouTube a Disney, da Amazon a Coca-Cola, con P&G, Bcg e Nike: tutti in campo per la diversity non solo fuori ma anche dentro l’azienda, leadership compresa

- Giampaolo Colletti

Scendere in campo. O meglio in rete. Perché nel tempo del distanziam­ento sociale e dello smartworki­ng esteso anche lo sciopero diventa virtuale. È successo a Facebook, dove alcuni dipendenti hanno manifestat­o contro la decisione dell’azienda di non bloccare i messaggi del Presidente Trump sulle mobilitazi­oni per la morte di George Floyd.

Metterci la propria faccia significa anche metterci la propria firma. Per la prima volta le persone al lavoro da casa per via dell’emergenza sanitaria hanno impostato il classico messaggio via mail del “fuori sede” con una dichiarazi­one di protesta. «La decisione di Facebook di non agire su post che incitano alla violenza non riesce a mantenere la nostra comunità al sicuro», ha dichiarato in un tweet Trevor Phillippi, designer dell’interfacci­a di Facebook Messenger. «Mark ha torto e mi impegnerò nel modo più rumoroso possibile per fargli cambiare idea», ha tuonato Ryan Freitas, manager che guida il News Feed. Il colosso di Menlo Park all’inizio si è difeso, giustifica­ndosi di non aver violato le proprie politiche. Salvo poi fare un parziale dietrofron­t: «Riconoscia­mo il dolore che molte delle nostre persone stanno provando in questo momento, in particolar­e la nostra comunità nera», ha scritto Mark Zuckerberg, annunciand­o una donazione di 10 milioni di dollari a gruppi impegnati per la giustizia razziale. «La risposta automatica via mail oggi diventa l’occasione per rappresent­are le proprie istanze critiche anche verso l’azienda. Quello che sta accadendo a Facebook colpisce ancora di più se confrontat­o con le azioni degli altri colossi. Penso alla posizione nettissima di Twitter, TikTok e Snapchat contro Trump. Non è così ovvio e scontato che i social media, che fino a ieri erano distanti dalle posizioni politiche, decidano di schierarsi», afferma Annamaria Testa, esperta di comunicazi­one, saggista e blogger. Prendere posizione. Dall’interno verso l’esterno delle mura aziendali, oggi più fragili rispetto al passato. «Questo percorso è cominciato tempo fa, quando abbiamo iniziato a parlare di CSR e le aziende hanno iniziato a compilare i primi bilanci etici, decidendo di promuovere sponsorizz­azioni distanti dal loro business primario. In questo contesto la coerenza tra azioni e narrazioni è centrale: “inquino ma pianto alberi in Brasile” oggi non è più tollerato come prima», precisa Testa.

Effetto Darnella sui brand

Per Facebook il paradosso di questo attivismo intercultu­rale è che tutto parte da un video caricato sulla sua piattaform­a. A compiere questo gesto semplice e stavolta dirompente è stata Darnella Frazier. Questa diciassett­enne afroameric­ana di Minneapoli­s, definita la Rosa Parks della sua generazion­e dal Daily Mail, armata di smartphone e di coraggio si è ritrovata al centro della storia, documentan­do la morte di George Floyd. Effetto Darnella sui brand americani: così ha scritto Adage.com. Esattament­e come è avvenuto con un’altra giovane eroina: Greta Thunberg, riferiment­o mondiale nelle battaglie ambientali­ste, generatric­e per il Financial Times dell’effetto Greta sulle aziende, ossia della reazione dei brand diventati eco-guerrieri.

Dalle piazze reali a quelle virtuali, andata e ritorno: dopo il video di Darnella, al quale sono seguite le mobilitazi­oni, tanti brand hanno preso posizione. Apripista è stata Nike, con uno spot di sessanta secondi veicolato sui social. Un messaggio rivoluzion­ario per il colosso statuniten­se, che ha proposto addirittur­a la modifica del proprio claim: tutti siamo parte del cambiament­o, non bisogna far finta di niente. «Lo spot ribalta lo slogan storico Just do it che diventa un Don’t do it. Questo commercial con sfondo nero e senza immagini evocative o epiche legate allo sport è un messaggio vibrante che stabilisce un punto di svolta: di fatto Nike arriva a mettere in gioco la propria identità più profonda», commenta Testa. A ruota poi una pluralità di marche si sono schierate contro la violenza razzista e per l’inclusione. «C’è in atto una competizio­ne sfrenata su mercati globali e l’anima della marca è sempre più centrale e distintiva, altrimenti si diventa intercambi­abili. Questa comunicazi­one è divisiva, ma intercetta una parte nuova di pubblico. Oggi alcune imprese hanno una forza tale da non legarsi soltanto alla prossima trimestral­e. In fondo si fa politica: dalla scelta dal packaging alla relazione con i propri pubblici, fino al racconto dei propri prodotti o servizi. Ma attenzione, non c’è improvvisa­zione, ma una nuova visione e consapevol­ezza», precisa Testa.

Le nuove azioni e narrazioni

L’ effetto Dar nella ha coinvoltoY­ou Tube, Disney, Amazon e Netflix. Procter & Gamble ha deciso di sostenere con 5 milioni di dollari diverse organizzaz­ioni multirazzi­ali. Warner Bros ha reso gratuita la visione di Just Mercy. La pellicola, uscita lo scorso anno, racconta le ingiustizi­e razziali che i neri affrontano in tribunale. Da Floyd alle altre vittime della violenza. “Erano tutti uno di noi”, recita il testo del video promosso sui social da McDonald’s. Mentre BCG ha listato a lutto le pagine con un messaggio di solidariet­à per la comunità afroameric­ana. Ma si arriva anche a coraggiose ammissioni dicolpa.JamesQu in cey,allagui dadi Coca-Cola,h ascritto di non aver fatto abbastanza per gli afroameric­ani in posizioni di leadership. E si è impegnato a donare 2,5 milioni di dollari all’Equal Justice Initiative. «Rappresent­ano il 19% della popolazion­e totale dei nostri dipendenti, ma solo il 7% occupa posizioni managerial­i», si legge sul blog aziendale. E poi ci sono le agenzie con provocazio­ni mai viste rivolte agli stessi clienti. «Che tipo di cambiament­o stai pianifican­do perla tua azienda? Perché il tuo leadership team non è multirazzi­ale? Il cambiament­o arriva dall’interno», ha scritto Saatchi & Saatchi. In fondo leadership e coerenza diventano due facce della stessa medaglia. È quanto ha scritto l’Harvard Business Review. «La buona guida afferisce anche la comunicazi­one del purpose aziendale. In una crisi senza precedenti dipendenti e clienti hanno fame di informazio­ni, ma spesso siamo tentati di comunicare con urgenza anziché con un’attenta pianificaz­ione. Dobbiamo coinvolger­e e lavorare per tempo in fase non emergenzia­le», ha scritto Nancy DuartesuHB­R. Schierarsi­sì, mamettendo­ci la testa oltre che il cuore.

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I colori dell’inclusione. Alle mobilitazi­oni social partecipa anche Pantone, colosso statuniten­se che si occupa principalm­ente di tecnologie per la grafica. Lo fa giocando con le sue sfumature di colore ““human human being”

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