Per i comunicatori la sfida etica è quotidiana
Dimmi dove lavori e ti dirò chi sei. Ma anche dimmi come sei e ti dirò se c’è posto per te al lavoro. Negli anni dello storytelling relazionale i collaboratori dall’interno dell’azienda escono prepotentemente allo scoperto, online e sui social. Abbracciando o criticando le scelte dell’impresa. È la nuova fase dell’impegno etico dei brand, fotografato dall’European Communication Monitor 2020. Tra i partner per l’Italia c’è il Cecom, centro per la comunicazione strategica dell’Università Iulm.
Emergono così nuove sfide etiche per i professionisti della comunicazione. A preoccupare maggiormente – addirittura 4 comunicatori su 5 – sono i social media con l’uso di robot e big data. Tra le altre preoccupazioni ci sono l’adozione di bot per generare feedback (64%), il coinvolgimento di influencer (58%), le sponsorizzazioni ambigue sui social (57%), la diffusione dei messaggi dell’organizzazione sui profili dei dipendenti (57%), lo sfruttamento dei dati personali (51%). Sfide etiche costanti: oggi in Europa ben 2 comunicatori su 3 sono costretti ad affrontarle nel proprio lavoro quotidiano. Interpretandole sulla base dei valori personali. «I comunicatori più che far riferimento a dei codici legati alla professione o messi a punto dall’organizzazione hanno menzionato i loro sistemi di credenza personali. In questo modo l’etica si relativizza e si sposta sul campo della morale individuale», afferma Stefania Romenti, professoressa associata di comunicazione strategica e relazioni pubbliche all’Università Iulm. Così l’azienda riflette e filtra ciò che è il sentire del comunicatore. E viceversa. «Anche tra i professionisti del marketing e della comunicazione sta emergendo una sorta di nuovo giuramento di Ippocrate, che richiama quasi l’impegno civile che viene preso dai laureandi all’Università di Harvard: si fa riferimento ai propri valori, interpretando la realtà con le proprie lenti», precisa Romenti.
Lo storytelling dell’azienda, declinato attraverso i valori delle persone che ne fanno parte. «Etica e progresso tecnologico sono due aspetti che si rincorrono da sempre e che ciclicamente danno origine a dei conflitti.
Parlando di comunicazione e nuove tecnologie ne vedo oggi almeno tre: verità contro menzogna, censura contro diritto d’opinione, anonimato contro il principio di responsabilità», afferma Maurizio Abet, Senior Vicepresident Communication e Consumer Marketing di Pirelli.
Un ecosistema complesso, dove emergono più attori e vari giochi di forza. Proprio in queste ore Elon Musk in un tweet ha attaccato Amazon, accusandola di essere in un regime di monopolio. Tutto nasce dal rifiuto alla pubblicazione del libro scritto dall’ex reporter del New York Times Alex Berenson da parte del colosso di Jeff Bezos. «I soggetti più esposti a questo tipo di conflitti etici sono le big tech della Silicon Valley, certa comunicazione politica e gli anonimi della rete, i cosiddetti leoni da tastiera che spesso fanno scelte ai confini dell’etica. Poi ci sono le aziende tradizionali: per tipologia di business e normative da rispettare sono più al riparo da certi rischi. Agiscono con una mission dichiarata: vendere prodotti o servizi e sono digitalmente rintracciabili e responsabili delle loro azioni. In gioco c’è la loro reputazione, che rimane un asset fondamentale da tutelare. Infine la stampa: nonostante tutte le difficoltà resta una sentinella fondamentale che porta quell’intermediazione di cui c’è molto bisogno», precisa Abet.
Conflitti arginabili, percorrendo due strade parallele per Abet. «La prima è quella tecnica e regolamentare, la seconda è quella culturale. Quindi bene il fact-checking, l’attenzione a limitare il fenomeno delle echo chamber, l’impegno delle piattaforme a dare maggiore visibilità ai siti autorevoli. Anche regolare il mondo di Internet e delle grandi piattaforme social, come furono regolate le Tlc, è una cosa sulla quale varrebbe la pena ragionare. Per creare una nuova cultura bisogna distruggere la filosofia truffaldina dell’uno vale uno, che sui social prende forza, e analizzare in modo critico le teorie di chi vede un mondo disintermediato come un mondo dove la verità prevale», conclude Abet.