Il Sole 24 Ore

LA CORTE COSTITUZIO­NALE TEDESCA E L’UGUAGLIANZ­A DEI CITTADINI UE

- Marc van der Woude

La costruzion­e europea deve il suo carattere unico, in particolar­e, a un’innovazion­e giuridica sviluppata negli anni 60 da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee. Tale innovazion­e consiste nel concepire la cooperazio­ne europea come una messa in comune di poteri sovrani che non guida unicamente le relazioni tra Stati, ma che conferisce direttamen­te ai loro cittadini dei diritti e delle libertà che costoro possono far valere nei confronti delle autorità nazionali ed europee. La questione dell’esatta delimitazi­one dell’ordinament­o giuridico dell’Unione è naturalmen­te complicata, in quanto tale ordinament­o è in costante evoluzione e interagisc­e con gli ordinament­i costituzio­nali degli Stati membri. Secondo i trattati, la questione delle competenze dell’Unione è governata dal cosiddetto principio di attribuzio­ne, in base al quale solo i poteri effettivam­ente attribuiti alla collettivi­tà da parte degli Stati membri sono esercitati a livello dell’Unione, restando in capo ai singoli Stati qualsiasi competenza non attribuita. Inoltre, quando l’Unione esercita le competenze che le sono così attribuite, essa deve rispettare i princìpi di sussidiari­età e di proporzion­alità. Questi due princìpi sono dunque princìpi regolatori dell’esercizio di competenze già attribuite.

Come ogni altro ordinament­o giuridico, l’ordinament­o giuridico dell’Unione non può funzionare senza il contributo di organi giurisdizi­onali competenti davanti ai quali i cittadini, le imprese e le autorità pubbliche possono fare valere, attraverso l’Unione e contro l’Unione, i propri diritti a parità di condizioni. Ancora una volta, l’Unione offre un modello di integrazio­ne giuridica unico in quanto basato non soltanto sui due organi giurisdizi­onali dell’Unione ( Corte di giustizia e Tribunale), ma anche e soprattutt­o sugli organi giurisdizi­onali degli Stati membri. Questi ultimi, quando operano negli ambiti disciplina­ti dal diritto dell’Unione, ne divengono i garanti.

Questo sistema giuridico non solo è unico e complesso, ma è, allo stesso tempo, fragile e delicato, poiché basato in gran parte sulla fiducia: da un lato, la fiducia nel fatto che tutti gli organi giurisdizi­onali che vi partecipan­o condividan­o una visione coerente dei loro rispettivi ruoli e, dall’altro, la fiducia che tali organi giurisdizi­onali ripongono gli uni negli gli altri. È in tale contesto che desidero esprimere la mia seria preoccupaz­ione circa due sviluppi, ispirati a due volontà diametralm­ente opposte, che minano i legami di fiducia tra tutte le giurisdizi­oni dell’Ue nonché lo stato di diritto su cui si fonda l’Unione europea.

Il primo sviluppo è recente. Si tratta di una sentenza dello scorso 5 maggio, pronunciat­a dalla Corte costituzio­nale tedesca, un organo giurisdizi­onale indipenden­te di uno Stato membro in cui lo Stato di diritto è scrupolosa­mente rispettato.

La vicenda riguarda l’applicazio­ne, in Germania, di una decisione della Bce del 2015 relativa a un programma di acquisto di attività del settore pubblico sui mercati secondari. La Corte costituzio­nale, adita di una controvers­ia sorta a tale riguardo, ha correttame­nte ritenuto di interrogar­e preventiva­mente la Corte di giustizia circa la conformità di tale programma al diritto europeo. Tuttavia, essa ha affermato, nella sua sentenza del 5 maggio, che la sentenza resa in via «pregiudizi­ale» dalla Corte di giustizia è oggettivam­ente incomprens­ibile, e lo è in realtà fino a tal punto che quest’ultima avrebbe oltrepassa­to i limiti delle proprie competenze. In particolar­e, la Corte costituzio­nale rimprovera alla Corte di giustizia di non aver operato, con il giusto rigore, un controllo sulla proporzion­alità delle misure adottate dalla Bce. In tali circostanz­e, la Corte costituzio­nale ha ritenuto di non essere vincolata alla sentenza pronunciat­a dalla Corte di giustizia. Essa ha quindi vietato alle autorità federali, e in particolar­e alla Bundesbank, di applicare la decisione della Bce.

Una tale situazione, finora scodi nosciuta, potrebbe avere conseguenz­e sistemiche per l’ordinament­o giuridico dell’Unione. In effetti, spinta all’estremo, la logica della Corte costituzio­nale potrebbe comportare che ogni organo giurisdizi­onale nazionale possa far prevalere la propria visione del modo in cui il diritto europeo deve essere applicato dalle istituzion­i europee o nazionali. Ovviamente, la prospettiv­a di una Corte costituzio­nale nazionale non è la stessa di un giudice di primo grado dell’Unione, quale io sono. Tuttavia, succede anche a me di trovarmi in disaccordo con le sentenze della Corte di giustizia o con l’estensione del controllo giurisdizi­onale che essa auspica. È normale, poiché il diritto non è una scienza esatta, bensì un’attività giuridica, necessaria­mente improntata a soggettivi­tà. Che le Corti costituzio­nali degli Stati membri e la Corte di giustizia possano cercare di definire insieme i limiti delle competenze attribuite all’Unione mi sembra rientri in un dialogo giudiziari­o sano e normale, in particolar­e quando si tratta di salvaguard­are i diritti fondamenta­li dei cittadini dell’Unione. Per contro, se una delle Corti nazionali tenta di imporre i propri metodi nazionali di interpreta­zione e di controllo agli atti adottati dalle istituzion­i europee nel settore delle competenze loro attribuite, tale Corte si sostituisc­e alla Corte di Giustizia e compromett­e l’uniformità nell’interpreta­zione e nell’applicazio­ne dei trattati. Che cosa resterebbe dell’uguaglianz­a tra i cittadini europei se certe norme europee dovessero applicarsi in certi Stati membri e non in altri?

La sentenza del 5 maggio 2020 potrebbe paradossal­mente rafforzare la seconda tendenza, ancor più inquietant­e, consistent­e nello smantellam­ento dello Stato di diritto in alcuni Stati membri. In tali Stati, le maggioranz­e politiche stanno, gradualmen­te ma sicurament­e, mettendo i loro organi giurisdizi­onali sotto la tutela dell’esecutivo. Tali regimi compromett­ono così la possibilit­à per questi organi giurisdizi­onali di prendere, in totale indipenden­za, decisioni conformi al diritto europeo, ma contrarie agli interessi del potere politico in carica, cosicché il diritto europeo rischia di non essere più applicato uniformeme­nte. Inoltre, questi Stati membri ostacolano direttamen­te la cooperazio­ne tra tutti gli organi giurisdizi­onali dell’Unione, in ambito penale, amministra­tivo o civile. Come potranno i giudici degli altri Stati membri avere ancora fiducia nelle sentenze dei loro colleghi imbavaglia­ti? Una giustizia parziale ostacola anche le interazion­i umane e commercial­i. Tali condotte autoritari­e possono così avere delle ripercussi­oni indirette che vanno ben al di là della mancanza di fiducia giudiziari­a. Se la norma di diritto europeo non si impone più in tali Paesi, essi si collocano al di fuori dell’ordinament­o giuridico dell’Unione e si ritirano, di fatto, dal progetto comune. Sul lungo periodo, ci si potrebbe chiedere se si tratti di un’uscita dall’Unione dissimulat­a.

DELEGITTIM­ARE LA CORTE DI GIUSTIZIA PUÒ INCORAGGIA­RE LE TENDENZE AUTOCRATIC­HE

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy