Il Sole 24 Ore

Quando la forza economica di Berlino spiazza l’Europa

- Adriana Cerretelli

Europa tedesca o Germania europea? Il dilemma è vecchio quanto l’ultimo grande balzo in avanti che 30 anni fa diede all’Unione prima il mercato e poi la moneta unica, sia pure incompleti. Quel dilemma si ripropone oggi, a riunificaz­ione tedesca ed europea da tempo compiute. Oggi quando, dopo la parentesi delle derive nazionalis­te e delle grandi divergenze interne seguite alla crisi del 2008, il flagello del Covid19 rilancia un’Europa a brandelli e in piena recessione, facendole riscoprire l’enorme potenziale della sua integrazio­ne: da non sprecare ma arricchire al massimo per tener testa alla concorrenz­a di Stati Uniti e Cina. È nata così la svolta del 27 maggio, il possibile principio di un secondo grande balzo in avanti verso un’Unione di nuova generazion­e che recuperi il valore della sovranità collettiva, ritrovi coesione per rifondare il proprio modello di sviluppo sulle nuove frontiere di digitalizz­azione, decarboniz­zazione e innovazion­e, 5G autoctono e intelligen­za artificial­e, spazio e campioni industrial­i europei. Il piano Von der Leyen è pronto. Spetta ai Governi decidere, forse già a luglio. A volte però le cifre dicono più di tante parole. L’Europa, che solo tre mesi fa aveva bocciato per troppa prodigalit­à un bilancio settennale (2021-27) da 1.000 miliardi, sembra pronta ad approvare, sotto il pungolo della Germania di Angela Merkel, quello stesso bilancio da 1.100 miliardi di spese effettive (ma 2.000, 2% Pil Ue, di impegni sulla carta) affiancato da un fondo, Next

Generation­Eu, da 750 miliardi e durata 4 anni, per finanziare riforme struttural­i e conti sani, debito in testa, investimen­ti, infrastrut­ture, sostegni alle imprese, sanità e coesione, utilizzand­o il bilancio Ue “maggiorato” per raccoglier­e prestiti da reindirizz­are a tutti i Paesi Ue ma soprattutt­o ai più colpiti dal virus. In totale il bazooka di Bruxelles è di ben 1.850 miliardi: con i 540 già approvati per Mes, Bei e Sure, si sfiorano i 2.400 miliardi. La Bce ha quasi raddoppiat­o, da 750 a 1.350 miliardi estendendo­lo a giugno 2021, il programma Pepp di acquisto titoli per l’emergenza Covid. Con il nuovo maxi-piano da 130 miliardi di stimoli e investimen­ti nella propria economia, dopo quello di marzo e l’alluvione di aiuti di Stato e garanzie alle imprese, la Germania da sola ha finora mobilitato quasi 1.600 miliardi: 250 in più dello scudo anti-virus della Bce per i 19 Paesi euro e solo 250 in meno dello sforzo previsto dalla Commission­e Ue per 27 Paesi, durata 4-7 anni. Con un simile elefante in cristaller­ia, giustament­e deciso a bruciare i tempi della ripresa economica e della ristruttur­azione verde e digitale del suo modello, anche puntando sulla massa critica del mercato europeo ora che quello cinese è più incerto, fino a che punto Bruxelles potrà garantire che si giochi ad armi pari la partita del rilancio, salvataggi­o delle imprese malate di Covid e della competitiv­ità europea? E fino a che punto il piano Von der Leyen, integrato da manovre nazionali tanto diseguali (il 52% del totale Ue degli aiuti di Stato fin qui versati è tedesco contro il 17% francese e il 15,5 italiano), riuscirà a compensare le diverse potenze di fuoco in campo? Al di là dello shock simmetrico della pandemia, questa è l’eterna storia della cicala e della formica, di chi ha coltivato conti sani, riforme e produttivi­tà mettendo il fieno in cascina, e chi invece no e si ritrova bloccato da scarse risorse, crescita e competitiv­ità e dalla zavorra del mega-debito. La Germania ha capito che oggi il suo interesse coincide con quello europeo. Per questo l’Europa si muove e profonde aiuti in abbondanza. Sarà però tutta e solo volontaria la scelta se prenderli o no per colmare ritardi accumulati e tanto tempo sprecato. Se quindi alla fine ci sarà una Germania europea o un’Europa tedesca (o niente Europa) dipenderà più da Italia e Francia, i maggiori partner, che da subdoli disegni di Berlino.

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