Amadori, il giro d’affari supera 1,3 miliardi e ora investe in salumi
L’emergenza non ha rallentato il gruppo che ha beneficiato anche delle risorse provenienti dalla vendita di Fattoria Apulia a Garofalo
Fatturato 2019 a quota 1,3 miliardi ( in crescita del 3,9% rispetto al 2018), 250 milioni di investimenti per il triennio 2020- 2022 e un piano industriale in arrivo entro il mese di ottobre. La crisi dei consumi innescata dal Coronavirus ha toccato marginalmente Amadori, azienda leader del comparto alimentare, specialista del settore avicolo, con una quota di mercato del 27% a volume nella grande distribuzione.
«Nei primi tre mesi dell’anno gli acquisti si sono mantenuti stabili grazie alla compensazione avvenuta tra crollo dei consumi fuori casa e impennata dei consumi domestici», spiega Francesco Berti, dal giugno 2019 amministratore delegato del gruppo. «Più pesante il calo degli acquisti registrato a partire dal periodo di Pasqua, soprattutto al Sud, dovuto alla ridotta capacità di spesa degli italiani » .
Ritorno alle vecchie abitudini, come i pasti consumati fuori casa; tempestività del Governo nell’attuare politiche di sostegno alle famiglie e contesto internazionale, con l’attenzione puntata sui rapporti UsaCina e sul mercato delle materie prime le tre variabili che, secondo l’amministratore delegato, condizioneranno i risultati del 2020.
Le stime per l’anno in corso prevedono un fatturato lievemente inferiore a quello appena chiuso dal Cda a quota 1.304 milioni di euro, a consolidamento di un trend in crescita dagli esercizi precedenti ( 1.255 milioni nel 2018, in crescita del 3,8% rispetto al 2017). Numeri che hanno permesso all’azienda fondata cinquanta anni fa da Francesco Amadori di posizionarsi stabilmente ai vertici del settore avicolo, tra le prime aziende del comparto alimentare italiano.
Oltre a mantenere alta l’attenzione sulle filiere di qualità, segmento di punta in un contesto di parziale difficoltà per il comparto delle carni bianche (- 0,4% nel 2019), l’azienda spinge sul fronte degli investimenti: più di 220 milioni di euro nel periodo 2016-2019 e altri 250 milioni in arrivo per il triennio 2020- 2022. « Questa ultima tranche sarà destinata in percentuale maggiore - circa 130 milioni - agli stabilimenti», commenta Berti. «Una quota di circa ottanta milioni andrà a supportare supply chain e logistica, mentre i restanti 40 milioni saranno destinati a incubatori e mangimifici » .
Da acceleratore di investimenti fungeranno anche le risorse ricavate dalla vendita di Fattoria Apulia - una tra le più grandi aziende agricole italiane, con 1.850 ettari nel foggiano adibiti all’allevamento di 2.200 capi bufalini - a Fattorie Garofalo, azienda campana attiva da 60 anni nel settore lattiero- caseario bufalino. L’operazione da 30 milioni di euro, chiusa pochi giorni fa, si è rivelata l’unica « alternativa a una integrazione cercata per anni - racconta Berti - ma abbiamo voluto mantenere 470 ettari di terreni per l’allevamento del Campese, nostro prodotto di punta » .
L’ad conferma invece l’interesse per un progetto di integrazione con il comparto dei salumi, inseguito da anni. Naufragata l’ipotesi di acquisizione di Vismara (gruppo Ferrarini), Berti annuncia: «Siamo aperti a qualsiasi soluzione: dalle partnership all’acquisto integrale di quote. Gli advisor sono allertati», conclude.