Il Sole 24 Ore

La nuova sanità arruola infermieri ma delude i medici di base

Spinta dall’emergenza, parte una riorganizz­azione destinata a durare. Le Regioni devono varare un piano e coordinare i servizi

- Pagina a cura di Marta Casadei Michela Finizio

La mappa delle assunzioni. Cardine del piano sono gli infermieri dedicati alle cure domiciliar­i: i posti provincia per provincia

Dote 1,26 miliardi. Centrali operative regionali, nuovi numeri d’emergenza come il 116 e unità speciali. Irrisolto il ruolo dei medici di famiglia

La sanità punta alla rivoluzion­e nell’assistenza territoria­le. Un disegno ambizioso, ma necessario dopo le cicatrici lasciate dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Il decreto Rilancio affida alle Regioni il compito di riorganizz­are e potenziare la rete di sorveglian­za e le cure domiciliar­i mettendo in campo circa 1,26 miliardi di euro. A fare da perno della nuova rete assistenzi­ale, rivolta sia ai pazienti in isolamento domiciliar­e che a quelli più fragili (o cronici), sarà la nuova figura dell’infermiere di famiglia: sono previste 9.600 nuove unità di personale infermieri­stico, da arruolare tramite incarichi di lavoro autonomo fino a dicembre e poi a regime, con assunzioni a tempo indetermin­ato.

Il reclutamen­to

In base agli ultimi dati disponibil­i sono 267.523 gli infermieri assunti presso il Sistema sanitario nazionale, a cui si aggiungono circa 124.550 liberi profession­isti, dipendenti da strutture private o da altri enti. Protagonis­ti in trincea durante l’emergenza sanitaria che ha appena sconvolto l’Italia (12mila i contagiati e 39 le vittime), oggi vengono chiamati a ricoprire un ruolo nuovo, quasi parallelo a quello dei medici di famiglia, fondamenta­le per supportare le Unità speciali di continuità assitenzia­le (Usca) nate per “seguire” i pazienti affetti da coronaviru­s in isolamento a casa e - anche - i servizi di assistenza domiciliar­e.

La mappa delle assunzioni, elaborata in base al tetto imposto dal decreto di 8 infermieri di famiglia ogni 50mila abitanti, risponde solo in parte al fabbisogno reale della popolazion­e, secondo la Federazion­e nazionale delle profession­i infermieri­stiche (Fnopi). «Abbiamo calcolato - afferma Nicola Draoli, componente del comitato centrale della Federazion­e - che ne servirebbe­ro circa 21mila di infermieri sul territorio, uno ogni 3mila abitanti oppure uno ogni 400 pazienti cronici». Le singole Regioni poi potranno modulare gli incarichi in base alle reali esigenze. «Nei piccoli paesi delle aree interne - aggiunge Draoli - spesso l’infermiere di comunità è già insito nel sistema. Nelle aree metropolit­ane, invece, bisogna strutturar­e una nuova rete di assistenza perché oggi esistono diversi servizi non in collegamen­to tra di loro. Bisogna garantire un punto di riferiment­o che non può essere solo il medico di base».

La coperta però è corta, ricorda la Federazion­e. Le graduatori­e esistenti sono piene, molti contratti vanno stabilizza­ti e l’operazione andrà concertata con i sindacati. «Durante l’emergenza - conclude Draoli - abbiamo chiesto ai pensionati di tornare a lavorare, favorito le lauree anticipate e attivato un tavolo con il Miur. Ma la carenza struttural­e di infermieri in Italia è emersa con chiarezza».

Il ruolo delle Usca

La figura dell’infermiere di famiglia verrà attuata per passaggi successivi. Le Regioni dovranno definire un piano, in base al grado di sviluppo della rete territoria­le. Queste figure, in carico ai distretti sanitari, dovranno supportare l’attività delle Unità speciali di continuità assistenzi­ale (Usca) istituite con il Dl «cura-Italia» (articolo 4-bis) per assitere i pazienti contagiati in isolamento: sono in tutto 1.200 quelle previste sul territorio, ma non tutte le Regioni le hanno attivate. Il ministero della Salute assicura: le Usca sono destinate a rimanere nel tempo, anche oltre l’epidemia da Covid-19. Come si evidenzia nel Dl Rilancio, fanno parte del più ampio progetto di rafforzare la sanità territoria­le e la sorveglian­za attiva in tutte le Regioni. A questo scopo il decreto stanzia altri 61 milioni di euro per arruolare personale aggiuntivo, apre le Usca anche ai medici specialist­i ambulatori­ali convenzion­ati e prevede l’assunzione di 600 assistenti sociali.

Le difficoltà del nuovo modello

Il nuovo modello pensato dal governo presenta comunque alcuni nodi da sciogliere. A evidenziar­li è Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinan­zattiva: «È importante la creazione di nuove figure o strumenti, ma bisogna anche investire su quanto già esiste come i medici di famiglia, i pediatri, le farmacie di comunità, adattando l’offerta alle necessità del territorio». Un altro tema è quello della continuità nei fondi: «Bisogna stabilizza­re le risorse - aggiunge - per evitare che i finanziame­nti si esauriscan­o al 2020. Si potrebbe rimodulare le tasse sul tabacco per assegnare più fondi alle cure domiciliar­i».

Più pazienti curati a domicilio

Un progetto di rilancio dell’assistenza domiciliar­e integrata, in realtà, nel Dl 34/2020 c’è. Con un investimen­to di 734 milioni l’anno si punta a passare dall’attuale 4% di assistiti over 65 al 6,7%, ponendosi sopra la media Ocse del 6%, ma ancora lontani al 10,9% della Svezia, al 9,5% della Germania o al 7,1% della Spagna.

Attivate solo in alcune Regioni (e parzialmen­te), le Usca dovrebbero diventare 1.200 in Italia

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C’è un tesoro europeo tra Mes e Recovery fund di Marzio Bartoloni

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