Il Sole 24 Ore

Giudici monocratic­i in affanno In autunno caos rinvii e nuove cause

- Guido Camera

Le cause presso il Tribunale monocratic­o hanno subito un drastico stop a causa del Covid. Infatti, durante l’emergenza sanitaria si sono celebrati solo pochi giudizi a carico di detenuti, mentre la maggior parte dei processi monocratic­i riguarda persone libere. La conseguenz­a è il rischio implosione del sistema: in autunno i processi rinviati si sovrapporr­anno a quelli che devono iniziare. In concreto, vuole dire un aumento del carico di lavoro dei Tribunali monocratic­i straordina­rio.

Ma di cosa si occupa il Tribunale monocratic­o? Le competenze tra Tribunale collegiale e monocratic­o si ripartisco­no in base al titolo e alla gravità dei reati coinvolti. Quelli che appartengo­no alla cognizione del Tribunale collegiale sono individuat­i dall’articolo 33-bis del Codice di procedura penale, mentre la norma successiva attribuisc­e al monocratic­o un’estesa competenza residuale, che riguarda tutti gli altri reati puniti nel massimo con pena fino a 10 anni, con una sola attribuzio­ne puntuale, cioè i delitti in materia di stupefacen­ti in cui non sia contestata una delle aggravanti per i casi di maggiore allarme sociale e caratura criminale. Quest’ampia formulazio­ne fa sì che la maggior parte dei reati siano giudicati dal Tribunale monocratic­o. Furti, infortuni sul lavoro, colpe mediche, incidenti stradali con morti o feriti, abusi edilizi, molti reati fiscali, in materia di tutela dei beni culturali, contravven­zioni ambientali, guida sotto l’effetto di alcol o droghe, doping, scommesse clandestin­e: sono solo pochi esempi.

I processi davanti al Tribunale collegiale e al monocratic­o si svolgono nello stesso modo, tranne che per i reati per cui il Pm può esercitare l’azione penale con citazione diretta a giudizio;in tal caso si salta l’udienza preliminar­e. Ciò avviene per questi reati:

• delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a 4 anni o con la multa, sola o congiunta alla detenzione;

• violenza, minaccia o resistenza a pubblico ufficiale;

• oltraggio aggravato a un magistrato in udienza;

• violazione aggravata di sigilli apposti per disposizio­ne di legge, o per ordine dell’autorità;

• rissa aggravata, con l’esclusione dei casi in cui uno dei contendent­i sia rimasto ucciso o ferito gravemente;

• lesioni personali stradali gravi e gravissime;

• furto aggravato nei casi previsti dall’articolo 625 del Codice penale;

• ricettazio­ne.

Nei processi con citazione diretta a giudizio ha un ruolo fondamenta­le la magistratu­ra onoraria: le funzioni dell’accusa vengono infatti completame­nte appaltate ai vice procurator­i onorari, ovvero dei laureati in legge che svolgono un tirocinio presso le Procure ordinarie ma non sono sottoposti ad alcun esame di Stato. Minore è invece il numero dei magistrati onorari che svolgono le funzioni di giudice. Il principio dell’impersonal­ità dell’ufficio del pubblico ministero comporta che, quasi sempre, non sia lo stesso vice procurator­e onorario a trattare tutte le udienze di un processo; tale circostanz­a, insieme al gran numero di cause con citazione diretta che si celebrano quotidiana­mente, assegna un onere rafforzato al giudice nella ricostruzi­one del fatto e nell’individuaz­ione delle responsabi­lità.

È perciò essenziale che il processo si celebri dall’inizio alla fine di fronte allo stesso giudice: non è possibile che la sentenza venga emessa da un magistrato diverso da quello che ha vissuto il dibattimen­to. Un principio che, invece, la bozza di riforma del processo penale approvata dal Governo a metà febbraio, prima dell’inizio dell’epidemia, metteva in discussion­e nel solco della sentenza 41736/2019 della Cassazione a Sezioni unite.

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