Il Sole 24 Ore

Per perquisire lo studio serve un vaglio speciale

- — Marina Castellane­ta

Gli Stati devono adottare tutte le misure necessarie per assicurare la confidenzi­alità delle comunicazi­oni tra cliente e avvocato, anche quando le perquisizi­oni in uno studio legale possono servire per provare un reato. È la Corte europea dei diritti dell’uomo a stabilirlo con una sentenza di condanna alla Russia (ricorsi n. 11264 e altri, Kruglov) che rafforza il ruolo dell’avvocato individuan­do alcuni parametri che devono essere adottati da ogni Stato parte alla Convenzion­e europea in tutti i casi in cui siano predispost­i provvedime­nti che possono incidere sul rapporto di confidenzi­alità cliente/avvocato. Anche perché – come precisa la Corte - vanno valutati gli effetti sulla reputazion­e dei legali e sulla loro attività di difesa.

A rivolgersi a Strasburgo erano stati alcuni avvocati sottoposti a perquisizi­oni, sequestro di computer e hard disk. Le misure erano state disposte su autorizzaz­ione dei giudici russi ed erano state effettuate sia negli studi sia nelle abitazioni. Sul piano interno, i tribunali nazionali avevano respinto i ricorsi dei profession­isti, che si sono rivolti alla Corte di Strasburgo la

quale, in sostanza, ha accolto i ricorsi.

Sproporzio­ne tra obiettivo e misure

Per i giudici internazio­nali, i provvedime­nti che hanno portato alle perquisizi­oni erano previsti dalla legge e perseguiva­no un fine legittimo come la raccolta di prove per accertare la commission­e di un reato, ma non erano necessari in una società democratic­a. Questo perché le misure erano sproporzio­nate rispetto all’obiettivo perseguito e in grado di compromett­ere un principio essenziale come la segretezza delle conversazi­oni tra clienti e avvocati. La perquisizi­one in studi e abitazioni di avvocati – osserva la Corte – deve essere sottoposta a uno scrutinio speciale. Di conseguenz­a, nell’adottare tali misure, le autorità nazionali devono tenere conto non solo della gravità dei reati al centro delle indagini, ma anche assicurare l’esistenza di un’autorizzaz­ione decisa da un giudice che possa essere impugnata dagli interessat­i, la presenza di un ragionevol­e sospetto e la ragionevol­ezza della misura che non può essere sproporzio­nata rispetto all’obiettivo perseguito.

A questo proposito, la Corte respinge l’automatism­o dei giudici nazionali che sostanzial­mente hanno ritenuto di poter procedere alle perquisizi­oni e al sequestro di dispositiv­i degli avvocati per il solo fatto che erano necessari per raccoglier­e prove relative ad alcuni reati. Inoltre, per la Corte europea è indispensa­bile valutare gli effetti sul lavoro e sulla reputazion­e dei legali destinatar­i del provvedime­nto. Pertanto, se le autorità nazionali non consideran­o questi elementi e non valutano gli effetti che un provvedime­nto può produrre sull’attività di difesa degli avvocati, la violazione della Convenzion­e è certa.

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