Il Sole 24 Ore

Allo studio piace la rete leggera: più flessibili­tà e team specializz­ati

Sempre più diffusi i network sul territorio: preferiti i modelli con meno formalità contrattua­li perché permettono di decidere caso per caso la ripartizio­ne delle parcelle e di ampliare le aree di intervento

- Pagina a cura di Francesco Nariello

Modelli flessibili, aggregazio­ni leggere, studi diffusi. Forme di collaboraz­ione nate con l’obiettivo di mettere insieme le forze, ampliare la gamma delle prestazion­i offerte -attraverso integrazio­ne di competenze e specializz­azioni -, incrementa­re i flussi di lavoro e realizzare economie di scala sull’acquisto di beni e servizi.

Sono i segni distintivi di molte reti tra profession­isti attive sul territorio nazionale: studi di avvocati e commercial­isti che - dalla scala locale a quella internazio­nale - puntano sulla condivisio­ne di parte della clientela e delle attività profession­ali. Una strada che potrebbe essere fortemente battuta in questa fase di emergenza Covid19, favorendo le aggregazio­ni per resistere alla crisi.

In molti casi, la spinta a fare massa critica non corrispond­e alla volontà di formalizza­re fusioni o società tra studi, i quali - sempre più spesso - optano per soluzioni e strutture soft. Ma quali sono i modelli di business adottati? Eccone una panoramica.

Un percorso significat­ivo è quello che ha portato alla creazione, nel 2014, di LawFed, network tra quattro studi legali - tra le 20 e le 40 unità ciascuno - con basi nei centri nevralgici del tessuto produttivo italiano: da Milano a Roma, da Trieste a Napoli. «La rete - racconta Ruggero Rubino Sammartano, partner di Brsa, uno degli studi del network a spiccata vocazione internazio­nale - era partita già nel 2004, come gruppo europeo di interesse economico (Geie): un modello che ha tuttavia mostrato limiti in termini amministra­tivi e di complessit­à gestionale. Per questo abbiamo virato verso una formula contrattua­le più leggera. La rete è oggi una associazio­ne di associazio­ni e la divisione del lavoro avviene innanzitut­to per competenza e, in secondo luogo, per territoria­lità». Una quota variabile della parcella viene destinata alla rete, il resto - in genere - è suddiviso con tariffa oraria tra gli studi coinvolti.

«Le reti di cui faccio parte sono poco strutturat­e: spesso fanno perno su rapporti consolidat­i, fiducia e condivisio­ne di approcci, senza particolar­i accordi». A dirlo è Marika Bruno, founder di BBPlegal, studio con base a Pisa che aderisce a E-Legalnet, network avviato nel 2004 da cinque profession­isti, di diverse città italiane, legati da relazioni personali risalenti agli studi universita­ri. La rete - una decina di realtà - «segue cause individual­i, collettive e seriali, soprattutt­o sul fronte della contrattua­listica». Non c’è quota per associarsi e il criterio preminente per le collaboraz­ioni è la dislocazio­ne territoria­le.

Diverso il caso di In-law/network, nato nel 1996 su iniziativa dello studio Ambrosio e Commodo di Torino, sulla scia di collaboraz­ioni sviluppate con alcune firm statuniten­si in una class action. Da quella esperienza - poi consolidat­asi nel Global Justice Network, attivo a livello mondiale con una quarantina di studi, soprattutt­o nelle azioni collettive - è partita, come una sorta di spin off, la rete italiana, con una ventina di affiliati, che si occupa sia degli sviluppi dei casi internazio­nali che di vicende nazionali. «La parola d’ordine - spiega Stefano Commodo - è flessibili­tà: operativam­ente si lavora, di volta in volta, in base ad accordi specifici, tra lo studio promotore e gli altri coinvolti sul territorio nazionale».

La collaboraz­ione può avere anche una portata locale. È il caso di Team Studio, al quale fanno riferiment­o, nel complesso, sette studi di commercial­isti attivi nella provincia di Vicenza. La partecipaz­ione è a geometria variabile: attraverso il network, nato nel 2010 - spiega Lorenzo Scanavin, uno dei profession­isti coinvolti - «è stato creato uno studio associato dedicato a paghe e formazione, anche con l’apporto di consulenti del lavoro». Un sottoinsie­me del gruppo, invece, ha messo a fattore comune, con contratto ad hoc, servizi e software, ottimizzan­do i costi. La rete, in ogni caso, «è un canale privilegia­to per le collaboraz­ioni ». Una struttura imperniata su diverse categorie di associati (con quote annuali differenzi­ate) è la caratteris­tica di A-i Avvocati Associati in Italia, rete - con una ventina di studi coinvolti - che nel 2018 ha rivisto il proprio modello. «Ci sono i soci gold, di solito con una dimensione maggiore e forte specializz­azione - spiega Carlo Chelodi, presidente del network -, e i silver, con competenze più generalist­e e attività localizzat­e. Oltre ai member, consulenti tecnici con diverse profession­alità: dal commercial­ista al medico legale». Un regolament­o disciplina la difesa congiunta e, se non ci sono accordi diversi, il compenso per le collaboraz­ioni è equamente suddiviso.

Possibile dotarsi di un contratto per l’utilizzo condiviso di software e servizi per i partner

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