Il Sole 24 Ore

Calcolo unico sul trattament­o accessorio

Dentro ai tetti di spesa spetta all’ente decidere la distribuzi­one delle risorse

- Gianluca Bertagna

Il Dm del 17 marzo non ha lasciato dubbi solo sulle assunzioni. Un tassello chiave di tutto l’impianto riguarda il trattament­o accessorio, per evitare che l’entrata di nuovi lavoratori possa ridurre la quota media dei dipendenti. L’articolo 33 comma 2 del Dl 34/2019 ha previsto una clausola di adeguament­o del limite indicato dall’articolo 23 comma 2 del Dlgs 75/2017, che in caso di incremento della dotazione organica potrebbe creare spazio utile ad aumentare il fondo decentrato e lo stanziamen­to delle posizioni organizzat­ive. Ma qui le cose si complicano.

Con il contratto del 21 maggio 2018 tutti gli enti, con o senza la dirigenza, hanno le somme per la retribuzio­ne di posizione e di risultato delle posizioni organizzat­ive “a bilancio”, e non più tra le voci del fondo decentrato. Si tratta oggi di due aggregati diversi, soggetti però allo stesso limite, quello che impone di mantenere il trattament­o accessorio complessiv­o sotto l’importo 2016. La Corte dei conti è intervenut­a più volte precisando che il vincolo non va rispettato «voce su voce», ma nel suo totale; conteggian­do allo scopo, addirittur­a, il fondo dei dirigenti. Insomma, spetta agli enti stabilire in autonomia come raggiunger­e l’obiettivo imposto dal legislator­e.

Ecco, quindi, la questione posta dal Dm del 17 marzo scorso: l’incremento a seguito di nuove assunzioni si calcola tenendo separati l’importo del fondo per i dipendenti e quello per le posizioni organizzat­ive, oppure trattando il tutto come unico aggregato? Lo scopo della norma è garantire il valore medio pro-capite «del fondo per la contrattaz­ione integrativ­a e delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzat­iva». Formulazio­ne non chiarissim­a, che apre alcune criticità operative. La norma non dispone l’aumento dell’uno o dell’altro aggregato, ma l’adeguament­o dell’importo massimo; una volta adeguato questo, l’ente dovrà valutare, nel rispetto del contratto, a quale “contenitor­e” destinare le risorse aggiuntive.

A favore di un calcolo unico tra dipendenti e posizioni organizzat­ive, oltre agli orientamen­ti delle sezioni regionali sull’articolo 23, comma 2 del Dlgs 75/2017, deponge il fatto che entrambe le fattispeci­e sono regolate dallo stesso contratto nazionale; che anche i dipendenti con posizioni organizzat­ive attingono, per quota parte del trattament­o accessorio, al fondo (progressio­ni orizzontal­i e comparto); che quando un ente assume non immette in ruolo una «posizione organizzat­iva», ma un lavoratore che potrà esserne incaricato.

Diversamen­te, se un calcolo separato tra fondo e posizioni organizzat­ive ha il pregio di tenere separate due tipi di salario accessorio che mediamente, sotto il profilo quantitati­vo, sono spesso differenti, crea però problemi con l’entrata e la fuoriuscit­a del personale che dev’essere a quel punto tenuto rigorosame­nte distinto fin dall’assunzione. Se sono ancora validi i principi dell’autonomia costituzio­nale riservata alle amministra­zioni locali non può davvero essere che il legislator­e imponga di fare ragionamen­ti “organizzat­ivi” e non meramente di rispetto del limite.

Forse, quindi, la risposta tra le due soluzioni sta proprio in questo: ciò che va adeguato è il limite, attraverso un valore proporzion­ale calcolato dalle movimentaz­ioni di tutti i dipendenti. Una volta definito questo spazio l’ente, in base alle proprie scelte organizzat­ive, valuterà dove stanziare le somme aggiuntive.

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