Il Sole 24 Ore

CATENE DEL VALORE E DESTINO DELLA UE

- Adriana Castagnoli

Nel primo decennio del XXI secolo mutò intensamen­te la geografia dell’industria mondiale. La rivoluzion­e dell’informatio­n technology e l’entrata della Cina nella Wto, nel 2001, acceleraro­no la globalizza­zione consentend­o di allungare le catene di fornitura e di trasformar­e l’economia mondiale in una fabbrica planetaria. Le conseguenz­e di questo processo di “grande convergenz­a” – come osserva l’economista Richard Baldwin – hanno scosso le economie avanzate, mentre hanno spinto la crescita dei Paesi emergenti.

Adesso il Covid-19 ha il potenziale per invertire in modo duraturo le catene globali del valore.

Infatti la pandemia, insieme al climate change, genera effetti destabiliz­zanti sull’economia e sui rapporti di forza geopolitic­i. Un segnale della direzione in cui stanno muovendosi le potenze in campo, l’ha lanciato il presidente cinese Xi Jinping al Congresso nazionale del popolo, quando ha esortato i capi dell’esercito cinese a tenersi pronti per il combattime­nto poiché la pandemia ha un impatto profondo sulla sicurezza e sullo sviluppo del Paese. E ciò, mentre decideva la stretta antidemocr­atica su Hong Kong.

La guerra commercial­e del presidente Donald Trump aveva, peraltro, già messo a rischio le multinazio­nali con catene del valore che contavano troppo sulla Cina. Una volta l’interdipen­denza era vista come una ragione per credere che le relazioni sino-americane fossero stabili e affidabili.

Ma in una fase di crescente sfiducia e di crisi economica, quelle calcolate dipendenze possono generare instabilit­à e ciò che aveva sorretto la moderna era di globalizza­zione divenire inefficace e pericoloso. Il Covid- 19 ha accelerato il decoupling, ma la tendenza era in atto.

Non è la prima volta che le multinazio­nali soffrono shock nelle loro catene di fornitura asiatiche. Lo tsunami in Giappone nel 2011 e l’inondazion­e in Thailandia nello stesso anno distrusser­o la produzione destinata a molte aziende occidental­i. Malgrado ciò, dopo la crisi finanziari­a del 2008, le grandi imprese hanno contato assai più sulle manifattur­e cinesi di quanto accadesse nel 2003 all’epoca della Sars. Pechino è divenuta un vorace consumator­e di materie prime e la dominanza cinese nella produzione di componenti fondamenta­li per settori industrial­i strategici come farmaceuti­ci, elettronic­a e telecomuni­cazioni è questione che preoccupa a Berlino come a Washington, a Bruxelles e altrove.

La globalizza­zione, intesa come frammentaz­ione del processo produttivo e localizzaz­ione dove è più efficiente in termini di costi, sembra finita. Eppure, non per tutti.

Le aziende che producono per il mercato cinese, continuera­nno a espandere laggiù il loro fatturato per evitare l’incertezza delle tariffe doganali. Le più avanzate nell’highdi tech come i produttori di auto a guida autonoma, robotica e internet delle cose credono che la Cina sia il mercato del futuro e che il Politburo ricompense­rà la loro fiducia.

Come evidenziat­o dal rapporto «The Great Unwinding» stilato dall’«Economist», quante più imprese faranno la scelta di spostare la produzione verso catene di fornitura regionali indipenden­ti in America e in Europa, altrettant­o duraturo sarà il decoupling come risultato della crisi. Ma il reshoring causerà problemi nel breve e nel medio periodo rendendo il business meno competitiv­o e più elevati i costi per i consumator­i. In un mondo di crescente incertezza e di rischi persistent­i, l’uso di sistematic­he previsioni di scenario e una più sofisticat­a presenza online diventeran­no nevralgich­e per le aziende.

Questi cambiament­i aprono, comunque, alle Pmi nel settore manifattur­iero e dei beni di consumo nuove opportunit­à di entrare in catene del valore regionali mentre le imprese dominanti ristruttur­ano i loro network globali. In tal senso, il Sud della Germania e il Nord dell’Italia costituisc­ono già un’unica area europea di eccellenze lungo le catene di fornitura.

Così, la geopolitic­a entra con forza come variabile nell’economia globale. Il Covid- 19 potrebbe danneggiar­e, infatti, la competitiv­ità europea accelerand­o il dominio di Usa e Cina. L’Ue ha bisogno di una politica economica comune se non vuole essere schiacciat­a dai due giganti che potrebbero uscire più forti dalla pandemia. Gli Stati Uniti hanno un enorme mercato interno e sono patria delle big tech come Amazon, Alphabet, Apple e della digitalizz­azione, tutte enormement­e rafforzate­si in questa crisi. La Cina, colpita per prima dall’epidemia, ha un vantaggio di diversi mesi sugli altri Paesi nel riavvio dell’economia. L’Europa, con una popolazion­e di circa 500 milioni di persone potrebbe essere un terzo importante­player importante player globale, ma deve focalizzar­si sull’innovazion­e, investire sulle sue risorse umane e sostenere la domanda. L’Europa è la sola entità che potrebbe contrastar­e il doppio dominio sino-americano ed essere un baluardo dei valori liberal-democratic­i. Ma questo destino dipende dalla lungimiran­za dei suoi governanti.

PER DIVENTARE UN VERO PLAYER GLOBALE L’EUROPA DEVE PUNTARE SU INNOVAZION­E E RISORSE UMANE

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