Il Sole 24 Ore

Compensazi­one legale non vale come causa di non punibilità

Nozione di pagamento allargata solo agli istituti di natura conciliati­va

- Ambrosi e Iorio

Secondo la Cassazione la possibile compensazi­one legale non consente di fruire della causa di non punibilità per estinzione del debito tributario.

La sopravvenu­ta posizione creditoria verso l’erario e quindi una possibile compensazi­one legale non consente di fruire della causa di non punibilità per estinzione del debito tributario, in quanto la normativa penale fa riferiment­o al pagamento del debito. A fornire questa interpreta­zione è la Corte di Cassazione con la sentenza 17806/2020

Il rappresent­ante legale di una srl veniva condannato per omesso versamento dell’Iva risultante dalla dichiarazi­one annuale per alcuni milioni di euro.

In corso di giudizio rilevava l’applicazio­ne della causa di esclusione del reato prevista dall’articolo 13 del Dlgs 74/2000 in conseguenz­a della compensazi­one di diritto delle rispettive poste debitorie del contribuen­te e dell’Erario. Evidenziav­a che non poteva costituire un ostacolo alla non punibilità il superament­o del limite temporale della dichiarazi­one di apertura del dibattimen­to previsto dalla legge, in quanto l’udienza era intervenut­a prima della introduzio­ne della norma (Dlgs 158/2015).

A seguito della conferma della condanna, proponeva ricorso per Cassazione eccependo tra l’altro che il giudice di appello non avesse correttame­nte applicato il disposto del citato articolo 13 in quanto avrebbe dovuto dichiarare la estinzione del debito erariale in conseguenz­a dell’applicazio­ne della causa di esclusione della punibilità. In base alla predetta norma ricorre la non punibilità anche per il reato di omesso versamento Iva se il contribuen­te, prima della dichiarazi­one di apertura del dibattimen­to di primo grado, abbia estinto con integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito di procedure conciliati­ve e di adesione, nonché con ravvedimen­to operoso, i debiti tributari.

Secondo la difesa era irrilevant­e che la compensazi­one fosse maturata in corso di giudizio, attesa l’introduzio­ne successiva della norma di favore ad opera del Dlgs 158/ 2015.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso. Secondo i giudici di legittimit­à la doglianza difensiva muove da un presuppost­o implicito, dato per scontato, secondo cui la “compensazi­one di diritto” del debito Iva con crediti del contribuen­te, sarebbe idonea ad integrare la nozione di “integrale pagamento” dei debiti tributari. Tale aspetto, risultereb­be ovviamente prevalente rispetto alla tardività o meno del pagamento.

La sentenza invece rileva che l’articolo 13 fa espresso riferiment­o al “pagamento”, in esso includendo anche ipotesi specifiche derivanti da istituti di natura conciliati­va, ma non consente di includervi l’ipotesi della compensazi­one legale che rientra, per espressa qualificaz­ione del codice civile, tra i « modi di estinzione delle obbligazio­ni diversi dall'adempiment­o», ovvero, in altri termini, diversi proprio dal pagamento. Da qui il rigetto del ricorso. Dalla sentenza sembra emergere che l’imputato avesse solo maturato un credito verso l’erario invocando una compensazi­one legale. Va da sé che se avesse assolto il debito tributario compensand­o effettivam­ente tale credito e quindi osservando le vigenti regole fiscali verosimilm­ente le conclusion­i della Corte sarebbero state differenti.

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