Il Sole 24 Ore

Recupero dell’Iva dal debitore senza insinuazio­ne nel passivo

Non va negata la riduzione dell’imposta assolta su crediti non recuperabi­li Dagli eurogiudic­i i paletti alle deroghe sulle norme relative alla base imponibile

- Anna Abagnale Benedetto Santacroce

Al creditore non può essere rifiutato il diritto alla riduzione dell’Iva assolta relativa a un credito non recuperabi­le qualora non si sia insinuato nel fallimento del suo debitore.

In questi termini la Corte di giustizia Ue, con la sentenza depositata ieri (causa 146/19), ha concluso sulla questione – che è anche di interesse nazionale – circa la legittimit­à della nota di variazione in diminuzion­e in presenza di una procedura fallimenta­re del proprio cliente a cui il creditore non partecipa.

Sul punto, la posizione dell’amministra­zione finanziari­a italiana è sempre stata sfavorevol­e. Già la circolare 77/ E/ 2000, consideran­do che ai fini del recupero dell’Iva non pagata dal debitore si dovesse attendere l’infruttuos­ità della procedura a carico di quest’ultimo, riteneva quale condizione preliminar­e alla precedente «la necessaria partecipaz­ione del creditore al concorso » . La linea restrittiv­a adottata dalla prassi si è arricchita, con il tempo, di altre pronunce. Da ultimo si ricordi la risposta a interpello del 3 giugno 2019 n. 178, nella quale l’agenzia delle Entrate chiarisce che nel caso di mancato pagamento in tutto o in parte conseguent­e all’accertata infruttuos­ità della procedura concorsual­e a carico del debitore, la facoltà del creditore di emettere note di variazione ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del Dpr 633/1972 è subordinat­a alla circostanz­a che il creditore (cedente/prestatore) partecipi alla procedura ossia, nel caso di fallimento, si sia insinuato nel passivo fallimenta­re.

Diversamen­te la Corte di giustizia. Questa considera che gli Stati membri, affinché la loro legislazio­ne sia conforme al disposto dell’articolo 90 della direttiva Iva, devono permettere la riduzione della base imponibile qualora il soggetto passivo sia capace di dimostrare che il credito da lui vantato nei confronti del suo debitore presenti un carattere definitiva­mente irrecupera­bile. In sostanza è ciò che accade nella situazione in cui, essendo mancata l’insinuazio­ne del credito al passivo del fallimento instaurato nei confronti del debitore, i crediti in questione si consideran­o « estinti » . La conseguenz­a di tale omissione è la riduzione definitiva degli obblighi del debitore nei confronti del creditore che legittimer­ebbe il suo recupero dell’imposta rispetto all’Erario.

Un altro spunto interessan­te che proviene dalla sentenza riguarda le misure che gli Stati membri possono adottare in deroga alle norme relative alla base imponibile, al fine di evitare evasioni o elusioni fiscali. Tali misure sono valide solo «entro i limiti strettamen­te necessari per raggiunger­e tale obiettivo specifico » e non possono incidere sui principi cardine dell’Iva, tra cui la neutralità. In questo senso, qualora esistono le prove che l’inerzia del soggetto passivo ( il quale non ha insinuato il proprio credito alla procedura) è dovuta a comportame­nti fraudolent­i, ovvero a una collusione tra tale soggetto passivo e il suo debitore, sarebbe giustifica­to il mancato riconoscim­ento del credito. Ma non sarebbe legittimo introdurre a priori una presunzion­e generale di frode, rispetto alla quale la mancata insinuazio­ne potrebbe non essere il sintomo. Sicché, nel caso in cui non emerge alcun indizio di abuso o di frode fiscale una misura del genere sarebbe eccessivam­ente costrittiv­a e contraria all’articolo 273 della direttiva 2006/ 112/ CE.

In definitiva, sembrerebb­e che la sentenza C-146/19 suggerisca un riadattame­nto delle posizioni domestiche a quelle dei giudici unionali, queste ultime più attente a garantire la neutralità dell’Iva anziché le formalità.

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