Il Sole 24 Ore

Connession­e dubbia per i diritti d’autore dei profession­isti

Difficile applicazio­ne del principio di attrazione per alcuni soggetti

- Matteo Balzanelli Raffaele Rizzardi

La comparsa di una nuova colonna nel modello Redditi, parte 3, per i diritti d’autore «correlati allo svolgiment­o dell’attività» dei contribuen­ti forfetari ha completato la presa di posizione dell’agenzia delle Entrate su questo argomento.

Il primo chiariment­o era venuto con la circolare 9/E del 10 aprile 2019, in cui si affermava che ai fini della verifica del limite di 65mila euro l’attrazione dei diritti nei corrispett­ivi dell’attività esercitata opera «solo se, sulla base di un esame degli specifici fatti e circostanz­e, gli stessi non sarebbero stati conseguiti in assenza dello svolgiment­o dell’attività di lavoro autonomo».

Questo criterio, se assunto come un elemento normativo, cioè generale e astratto, suscita non poche perplessit­à, in quanto se l’attrazione deriva da una sorta di estensione dell’attività svolta, dovrebbe essere valido qualunque essa sia.

Andiamo a vedere chi sono i maggiori percettori di diritti d’autore. Parliamo dei professori universita­ri che scrivono testi, manuali, relazioni, studi, articoli. Non pochi editori di libri e riviste accettano contributi solo da parte di questi docenti. In altri termini torniamo alla nozione data dall’amministra­zione finanziari­a, secondo cui non potrebbero percepire questi compensi in assenza della loro attività, che nella specie non è di lavoro autonomo, ma dipendente.

E se, una volta andati in pensione, aprissero la partita Iva, dovremmo dire che i diritti d’autore, che non erano mai stati attratti nell’imponibile del lavoro dipendente, cambiano qualifica perché l’attività è diventata di lavoro autonomo?

Che questa regola non possa essere generalizz­ata, altrimenti sarebbe di difficile se non impossibil­e interpreta­zione, lo si vede analizzand­o la risposta ad interpello numero 517 del 12 dicembre 2019. Il caso è molto chiaro: i prestatori di servizi nei confronti di un unico committent­e percepisco­no dallo stesso soggetto anche diritti d’autore, stipulando contratti denominati «per prestazion­i miste». Il caso concreto era esemplific­ato nel quesito, ma la risposta pubblicata indicare solo dei puntini e quindi non sappiamo a cosa si riferisca la collaboraz­ione «artistica/ profession­ale» oggetto del quesito.

Possiamo comunque individuar­e almeno un altro caso in cui ha un senso applicare questa regola, con unico committent­e della prestazion­e profession­ale e della cessione delle opere dell’ingegno, remunerata con i diritti d’autore. Pensiamo ai corsi di formazione, oggi così diffusi con gli obblighi relativi ai profession­isti. Il docente svolge sicurament­e una prestazion­e mista, in quanto scrive la dispensa (che può essere remunerata a titolo di diritto d’autore, se il diritto viene ceduto e sfruttato dal committent­e) e si reca in aula e/o esamina i partecipan­ti, ponendo in essere una prestazion­e d’opera.

In questi casi è ricorrente la scomposizi­one del compenso complessiv­o tra le due componenti reddituali, secondo criteri che – al di fuori del regime forfetario – potrebbero dare luogo ad abusi, in quanto i diritti d’autore benefician­o dell’abbattimen­to del 25%, mentre la prestazion­e di lavoro autonomo, di regola con i costi di trasferta a carico dell’organizzat­ore del corso, sarebbero tassati per intero.

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