Conte: sulla zona rossa la Lombardia era autonoma
Il premier ha spiegato le ragioni della mancata chiusura in Val Seriana
Il premier Giuseppe Conte ha difeso davanti ai Pm di Bergamo l’operato del governo nella decisione di non chiudere in “zona rossa” i comuni della Val Seriana nei primi giorni di marzo: «La Lombardia aveva gli strumenti per chiudere Alzano e Nembro».
Sulla (mancata) zona rossa, in piena emergenza coronavirus, in Val Seriana, nella bergamasca, i procuratori di Bergamo valuteranno a breve se si è trattato di un atto politico o di un’azione che potrebbe avere una rilevanza penale. E sulla base di quanto approfondito, potrebbero inviare il fascicolo alla procura di Roma. Già la prossima settimana potrebbe esserci la decisione su questo punto.
Ieri a Palazzo Chigi è stato ascoltato dai pm coordinati da Maria Cristina Rota, come persona informata dei fatti, il premier Giuseppe Conte; a seguire il ministro della Sanità Roberto Speranza e la ministra degli Interni Luciana Lamorgese, sempre in qualità di persone informate. Il premier, che ha difeso l’operato del suo governo, ha presentato una memoria difensiva per ricostruire gli eventi che si sono susseguiti dal primo lockdown nel lodigiano e a Vo’ Euganeo, il 22 febbraio, alla zona arancione istituita il 7 marzo, fino al Dpcm dell’11 marzo, che ha fatto diventare tutta Italia un’unica zona rossa. «Ho chiarito tutto nei minimi dettagli», ha detto il premier, che sottolinea ancora oggi come la Regione Lombardia avesse gli strumenti per chiudere in autonomia i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, i due centri dove si sono sviluppati i focolai tra i più pericolosi d’Italia, e che hanno portato la provincia di Bergamo ad avere una crescita dei decessi, a maggio, di quasi il 600% in più rispetto all’anno precedente (e dove ancora oggi ci sono circa 14mila positivi ufficiali).
I vertici della Regione Lombardia, il governatore Attilio Fontana e l’assessore al Welfare Giulio Gallera, sono già stati ascoltati nei giorni scorsi. E, dal loro punto di vista, è stato invece sottolineato come la responsabilità di quella scelta spettasse al governo.
Nella ricostruzione già finita agli atti dell’inchiesta, l’evidenza del crescente focolaio emerge a fine febbraio. Tra il 27 febbraio e il 3 marzo il Comitato tecnico scientifico lombardo dialoga con l’Istituto superiore della sanità e dà il suo assenso per la zona rossa nei comuni di Alzano e Nembro. L’Iss suggerisce al governo di chiudere l’area, come confermato dal presidente dell’istituto, Silvio Brusaferro, anche lui ascoltato dai magistrati come persona informata dei fatti. Il 5 marzo arrivano i militari nella presunta zona rossa, ma il giorno dopo tornano indietro, segno di un ordine atteso e poi mai arrivato. Viene fatta invece la zona arancione in tutta la Regione e in altre province del Nord: un’area che non può essere valicata ma al cui interno ci si può spostare.
Nella zona di Nembro e Alzano si trovano i capannoni di molte aziende che contribuiscono ad un’ampia fetta del Pil italiano: quella tra Bergamo e Brescia è una delle aree più industrializzate d’Italia. Per questo Confindustria Lombardia ha cercato di evitare la chiusura totale, mantenendo aperte quelle attività, diceva in quei giorni il presidente degli industriali regionali Marco Bonometti, «che possono garantire presidi di sicurezza e distanziamenti». In questo contesto la Regione decise di non forzare una decisione che riteneva non gli competesse; e il governo il 6 fece una scelta diversa, estesa a tutta la Lombardia.
Questa scelta potrebbe essere considerata reato di epidemia colposa? O una valutazione politica sulla base di quanto soppesato in questi giorni? A voler cercare riferimenti nel codice penale, potrebbe eventualmente esserci l’articolo 40 comma 2, in cui si dice che «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Andrebbe inoltre trovato un colpevole, che consapevolmente non ha impedito quanto accaduto.
I pubblici ministeri bergamaschi sono comunque partiti dal contesto che servirà a ricostruire altre due vicende, in cui ci sono già indagati per epidemia colposa e omicidio colposo: l’anomala riapertura del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano il 23 febbraio, dopo i primi casi di coronavirus, e i molti decessi nelle Rsa.