Il Sole 24 Ore

Boss scarcerati, sono tornati in cella 55 su 256

In prigione Franco Cataldo, mentre resta ai domiciliar­i Pasquale Zagaria

- Giovanni Negri

Sono 55 in tutto i detenuti per reati di mafia in un primo tempo scarcerati e ora ricondotti in carcere per effetto del decreto legge approvato dal Governo. I 55 si confrontan­o con i 256 ammessi alla detenzione domiciliar­e per effetto del rischio Covid-19.

Sono 55 in tutto i detenuti per reati di mafia in un primo tempo scarcerati e ora ricondotti in carcere per effetto del decreto legge approvato dal Governo. I 55 si confrontan­o con i 256 ammessi alla detenzione domiciliar­e, se detenuti a titolo definitivo, o agli arresti domiciliar­i, se ancora imputati, per effetto del rischio Covid. Un numero comunque sensibilme­nte più basso dei 478 inizialmen­te circolato, dopo che il nuovo capo del Dap Dino Petralia ha fatto rifare i calcoli arrivando alla conclusion­e che in quei 478 erano compresi gli ammessi ai 2 benefici in via ordinaria e a causa dell’emergenza sanitaria.

Tra i detenuti tornati in cella per effetto del decreto c’è Franco Cataldo, uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolat­o e sciolto nell’acido, mentre altri restano ai domiciliar­i, come Pasquale Zagaria, fratello del capoclan Michele, ricoverato nei giorni scorsi in un ospedale della Lombardia dopo un aggravamen­to delle sue condizioni.

Il decreto legge ha così inciso sinora su circa un quinto delle scarcerazi­oni, prevedendo l’obbigo per i giudici e i tribunali di sorveglian­za di rivalutare periodicam­ente, inizialmen­te dopo 15 giorni e poi ogni mese, le condizioni sanitarie alla luce del cambiament­o in corso d’opera dell’epidemia e della disponibil­ità di strutture sanitarie più adeguate. Misure fortemente contestate dall’avvocatura e bersagliat­e già da due ordinanze di rinvio alla Corte costituzio­nale da parte dei tribunali di Sassari e di Spoleto. Nel mirino tra l’altro la compressio­ne del diritto di difesa e le limitazion­i al alla libertà dell’autorità giudiziari­a nel valutare le situazioni.

Il Senato ha provato a correre ai ripari approvando, per ora in commission­e Giustizia, alcuni correttivi, nell’ambito dei lavori di conversion­e del provvedime­nto. In particolar­e, a venire rafforzato sarà il contraddit­torio, garantito davanti al tribunale di sorveglian­za, una volta che il giudice di sorveglian­za ha compiuto la sua rivalutazi­one del caso.

Ma sul decreto si abbattono anche le critiche del Csm che, in una bozza di parere che sarà all’esame del plenum la prossima settimana, sottolinea l’aumento del carico di lavoro per i magistrati. I tempi stretti previsti e «la complessit­à degli accertamen­ti da svolgere» comportano un notevole aggravio per i magistrati di sorveglian­za, già sotto pressione nell’emergenza sanitaria. Ma anche il Csm mette in evidenza come il problema non riguarda solo i giudici perchè il procedimen­to previsto non garantisce il diritto di difesa.

I consiglier­i suggerisco­no il rimedio: «un’udienza camerale partecipat­a appare il rito più adeguato alla tutela del diritto di difesa, tenuto conto della necessità di garantire spazi di interlocuz­ione agli interessat­i sull'avverarsi delle condizioni che possono determinar­e il ripristino della detenzione in carcere». carcere » .

L’altra preoccupaz­ione del Csm riguarda le difficoltà per il lavoro dei magistrati. La decisione sull’eventuale revoca della detenzione domiciliar­e va fondata su «una pluralità di elementi», spiegano i consiglier­i, compresa l’evoluzione che, nel frattempo, potrebbero aver subito le condizioni di salute del condannato. Condizioni che dopo che il detenuto è stato dimesso dal carcere, sfuggono al monitoragg­io dell’amministra­zione penitenzia­ria e della magistratu­ra di sorveglian­za, che dunque corre il rischio di decidere senza un quadro clinico aggiornato.

E, in materia di ordinament­o penitenzia­rio, ieri la Corte costituzio­nale ha ritenuto che un termine di appena 24 ore per presentare reclamo contro il provvedime­nto sui permessi premio lede il diritto di difesa del detenuto e rappresent­a un indebito ostacolo alla funzione rieducativ­a della pena, alla quale i permessi premio sono funzionali. I termini di conseguenz­a passano a 15 giorni.

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