ORA PIÙ CHE SEMPLIFICARE OCCORRE LA SEMPLICITÀ
Il cosiddetto “Decreto Rilancio” appare, allo stato, suscettibile di significativi miglioramenti per renderlo più coerente con i fondamentali princìpi dell’ordinamento – per quanto ci riguarda – costituzionale tributario. Occorre partire dalla semplicità espressiva e dalla valorizzazione della buona amministrazione, entrambe lontane da quella tendenza ultima a scrivere norme “autoapplicative” che tali non possono essere.
L’esecutivo ha cercato di ridurre al massimo l’interferenza della burocrazia.
Ma la burocrazia, intesa correttamente come complesso di pubblici funzionari che hanno il compito di applicare le disposizioni e renderle fruizione diretta, è ineliminabile. Occorre semplificarla. La semplificazione deve essere originaria. E allora si chiama “semplicità”. Dobbiamo passare dalla semplificazione alla semplicità.
La stessa Cassazione ha pesantemente censurato ( 9996/ 2020 sul Sole del 5.06.2020) un ricorso privo di coerenza e chiarezza, entrambe imprescindibili per arrivare a sentenza. Nell’ordinamento statunitense la mancanza di breve e semplice esposizione della domanda può portare alla inammissibilità.
Ora, la fase della ricostruzione invoca la chiarezza della norma positiva.
Lo stesso Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212/2000), ispirandosi agli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, ha introdotto nell’ordinamento princìpi generali che aspirano a dare una relativa stabilità alle leggi tributarie. Tra questi princìpi generali, già desumibili dall’ordinamento secondo una lettura attenta ai princìpi costituzionali, l’art. 2 dello Statuto prevede che le leggi tributarie, dal punto di vista della forma, devono osservare i canoni della chiarezza e trasparenza. Le leggi devono menzionare l’oggetto nel titolo, la rubrica delle partizioni interne, il contenuto sintetico delle disposizioni alle quali si intende fare rinvio.
Il calligrafismo ipertrofico di norme non coordinate, rappresenta, su un piano meramente denotativo, in sé, violazione di norme.
Il momento richiede il massimo impegno per favorire la razionale applicazione dei tributi: occorrono norme chiare, intellegibili anche per l’uomo della strada, in modo da evitare una costante esternalizzazione del processo applicativo sui privati (specie i professionisti), anziché sui funzionari a ciò preposti.
Chi produce le norme deve renderle immediatamente comprensibili e agevolmente applicabili. Questo infonde la fiducia del cittadino verso l’Amministrazione.
Come ripeteva Vanoni, il segreto sta nel « creare attraverso una persuasione politica e morale, un clima nel quale si sente che difendendo la razionale applicazione dei tributi, si difende non una legge formale dello Stato, ma l’essenza stessa della vita dello Stato » .
A ben vedere il concetto di “semplificazione” implica un punto di partenza negativo: presuppone una complessità eccessiva da semplificare. Ma, per avere un saldo “positivo”, come ripetuto anche da Sabino Cassese, bisogna cercare di non complicare prima, per non dover semplificare poi. La semplificazione, altrimenti, sarà sempre un passo indietro rispetto alla complicazione.
Il passaggio odierno rende vitale acquisire questo concetto: solo la semplicità originaria della legge consente di individuare agevolmente la norma applicabile al caso concreto, rilevare le modifiche che ha subìto una norma precedente, delineare l’ambito applicativo di una nuova norma.
Per far questo occorrono sistematicità e senso di prospettiva organica da parte di tutte le forze in campo, evitando quelle rigidità che polverizzano l’unico nucleo di significato: la salvezza del cittadino e la consapevolezza, anche etica, di poter dare il suo contributo.
Tutto questo, in materia fiscale assume una rilevanza peculiare: il legislatore, rispettando rigorosamente i precetti costituzionali, può promuovere una nuova stagione normativa rispettosa delle libertà fondamentali.
Solo così può ripartire su basi solide anche la realizzazione dell’interesse fiscale che è costitutivamente condizione di vita per la comunità.