Il Sole 24 Ore

Cig, rischio di una tempesta perfetta Il governo: subito la cassa di settembre

Imprese intrappola­te tra fine dell’aiuto e proroga dello stop ai licenziame­nti Catalfo e Gualtieri: pronto un decreto per garantire la continuità del sussidio

- Claudio Tucci—

Edizione chiusa in redazione alle 22

Dopo gli appelli di imprese e sindacati, e sotto la spinta di diversi emendament­i al dl Rilancio, il governo apre alla possibilit­à di anticipare la cassa integrazio­ne d’emergenza a quelle aziende che la esaurirann­o nei prossimi giorni, senza cioè dover più aspettare il tetermine dell’1 settembre. I ministri del Lavoro, Nunzia Catalfo, e dell’Economia, Roberto Gualtieri: presto un dl per assicurare la continuità della cig.

Il divieto di licenziame­nto economico «ha avuto un senso, di fronte all’emergenza sanitaria » ; ma attenzione, adesso, « a non trasformar­e l’eccezione in regola » . L’ipotesi annunciata dal ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, di prorogare lo stop agli atti di recesso datoriale per motivi oggettivi fino a dicembre, se non bilanciata con un ulteriore prosieguo, per il medesimo periodo, della cassa integrazio­ne d’emergenza, rischia «di non far tornare più i conti», avverte Riccardo Del Punta, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Firenze; e a suo avviso, se ciò dovesse accadere, «si « si varcherebb­e, probabilme­nte, il limite dell’incostituz­ionalità» dell’incostituz­ionalità » .

Professore, è quindi illegittim­o il divieto di licenziare?

Non è tanto questione del divieto di licenziame­nto economico in sé, che ha avuto un senso come misura emergenzia­le, salvo il fatto che se l’eccezione durasse troppo a lungo tenderebbe a diventare la regola, e questo ne metterebbe comunque in discussion­e il senso. Ma il punto vero mi sembra un altro, e cioè che la giustifica­zione di tale misura (mai ( mai introdotta in Italia sin dagli anni del secondo dopoguerra) si regge sull’essere parte di un pacchetto unico con la cassa integrazio­ne d’emergenza, ordinaria o in deroga. Se, invece, il pacchetto viene meno, perché un’impresa può ritrovarsi a esaurire la cassa integrazio­ne restando ancora assoggetta­ta, per periodi significat­ivi, al divieto di licenziame­nto, i conti non tornano più. Ciò si verifica, come è noto, già sulla base della normativa attuale (decreti Cura Italia e Rilancio). Se il divieto venisse ulteriorme­nte prorogato senza rifinanzia­re la cassa integrazio­ne in misura corrispond­ente, la situazione diventereb­be ancora più seria, e si varcherebb­e probabilme­nte, a mio avviso - e lo dico pur essendo consapevol­e dell’estrema gravità sociale del problema -, il limite dell’incostituz­ionalità.

Su quale base si potrebbe giustifica­re tale giudizio?

L’incostituz­ionalità non la vedrei soltanto, come talvolta si afferma, nella violazione del principio della libera iniziativa economica privata, bensì in una logica in parte diversa, ossia nella sproporzio­ne del contributo di solidariet­à sociale che sarebbe richiesto alle imprese. Esse si ritrovereb­bero strette in una tenaglia tra attività che non sono riuscite a far ripartire e costi retributiv­i ( in aggiunta agli altri oneri) che rischiereb­bero di divenire insostenib­ili, in modo particolar­e per le piccole o medie attività. È una tenaglia che potrebbe soffocarle, mentre, dall’altra parte, ci sarebbero lavoratori certamente in situazioni drammatich­e ma che potrebbero quantomeno beneficiar­e della Naspi, della quale si dovrebbe parlare di più di questi tempi, ad esempio per rafforzarl­a.

Facciamo degli esempi. Se la cig d’emergenza finisce e l’impresa non può licenziare, cosa può fare? Anche se ha livelli di attività ridimensio­nati o addirittur­a azzerati, l’impresa non può fare nulla per evitare gli obblighi retributiv­i. Non invocare un’impossibil­ità della prestazion­e che non c’è, né imporre, che so, piani di riduzioni temporanee di orario e salario, a meno che dall’altra parte trovi lavoratori o sindacati disponibil­i ad accordi. Mancando tali intese d’emergenza all’impresa non resterebbe che aggravare il proprio indebitame­nto, istituti di credito permettend­o, o avvitarsi in dinamiche di ritardati o addirittur­a omessi pagamenti, che la spingerebb­ero verso l’insolvenza e quindi verso il concordato preventivo o il fallimento. Col risultato - tra l’altro - che quegli oneri retributiv­i evitati all’inizio lo Stato se li ritrovereb­be lo stesso sulle spalle ( limitatame­nte alle ultime tre mensilità e al Tfr) come Fondo di garanzia Inps. Ma, soprattutt­o, a quel punto sarebbe stata affossata l’impresa, e con essa la sua possibilit­à di riprenders­i e produrre nuova occupazion­e nel futuro. Non sarebbe un gran risultato neppure per gli stessi lavoratori.

Lei è un giurista. Il lavoro si difende davvero con una iper-produzione normativa, spesso a “danno” del mondo produttivo?

Non arriverei a dire questo. Non va dimenticat­o che il Governo e il legislator­e si sono trovati a governare una crisi drammatica, e purtroppo ancora lontana dalla fine. Certo però che affrontare il problema del lavoro soltanto o prevalente­mente dal lato dei pur necessari sussidi, senza aver individuat­o, se non per alcuni comparti, misure davvero efficaci per la salvaguard­ia della base produttiva del paese, dalla quale dipende il destino ultimo degli stessi lavoratori, è stata una scelta politicame­nte prevedibil­e, ma che mostra ora il fiato corto. Cambiare passo richiede però di riconoscer­e quel che non per tutti è ovvio, ossia che imprese e lavoro potranno salvarsi soltanto insieme.

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RICCARDO DEL PUNTA Ordinario di diritto del Lavoro all’università di Firenze

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