Cig, rischio di una tempesta perfetta Il governo: subito la cassa di settembre
Imprese intrappolate tra fine dell’aiuto e proroga dello stop ai licenziamenti Catalfo e Gualtieri: pronto un decreto per garantire la continuità del sussidio
Edizione chiusa in redazione alle 22
Dopo gli appelli di imprese e sindacati, e sotto la spinta di diversi emendamenti al dl Rilancio, il governo apre alla possibilità di anticipare la cassa integrazione d’emergenza a quelle aziende che la esauriranno nei prossimi giorni, senza cioè dover più aspettare il tetermine dell’1 settembre. I ministri del Lavoro, Nunzia Catalfo, e dell’Economia, Roberto Gualtieri: presto un dl per assicurare la continuità della cig.
Il divieto di licenziamento economico «ha avuto un senso, di fronte all’emergenza sanitaria » ; ma attenzione, adesso, « a non trasformare l’eccezione in regola » . L’ipotesi annunciata dal ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, di prorogare lo stop agli atti di recesso datoriale per motivi oggettivi fino a dicembre, se non bilanciata con un ulteriore prosieguo, per il medesimo periodo, della cassa integrazione d’emergenza, rischia «di non far tornare più i conti», avverte Riccardo Del Punta, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Firenze; e a suo avviso, se ciò dovesse accadere, «si « si varcherebbe, probabilmente, il limite dell’incostituzionalità» dell’incostituzionalità » .
Professore, è quindi illegittimo il divieto di licenziare?
Non è tanto questione del divieto di licenziamento economico in sé, che ha avuto un senso come misura emergenziale, salvo il fatto che se l’eccezione durasse troppo a lungo tenderebbe a diventare la regola, e questo ne metterebbe comunque in discussione il senso. Ma il punto vero mi sembra un altro, e cioè che la giustificazione di tale misura (mai ( mai introdotta in Italia sin dagli anni del secondo dopoguerra) si regge sull’essere parte di un pacchetto unico con la cassa integrazione d’emergenza, ordinaria o in deroga. Se, invece, il pacchetto viene meno, perché un’impresa può ritrovarsi a esaurire la cassa integrazione restando ancora assoggettata, per periodi significativi, al divieto di licenziamento, i conti non tornano più. Ciò si verifica, come è noto, già sulla base della normativa attuale (decreti Cura Italia e Rilancio). Se il divieto venisse ulteriormente prorogato senza rifinanziare la cassa integrazione in misura corrispondente, la situazione diventerebbe ancora più seria, e si varcherebbe probabilmente, a mio avviso - e lo dico pur essendo consapevole dell’estrema gravità sociale del problema -, il limite dell’incostituzionalità.
Su quale base si potrebbe giustificare tale giudizio?
L’incostituzionalità non la vedrei soltanto, come talvolta si afferma, nella violazione del principio della libera iniziativa economica privata, bensì in una logica in parte diversa, ossia nella sproporzione del contributo di solidarietà sociale che sarebbe richiesto alle imprese. Esse si ritroverebbero strette in una tenaglia tra attività che non sono riuscite a far ripartire e costi retributivi ( in aggiunta agli altri oneri) che rischierebbero di divenire insostenibili, in modo particolare per le piccole o medie attività. È una tenaglia che potrebbe soffocarle, mentre, dall’altra parte, ci sarebbero lavoratori certamente in situazioni drammatiche ma che potrebbero quantomeno beneficiare della Naspi, della quale si dovrebbe parlare di più di questi tempi, ad esempio per rafforzarla.
Facciamo degli esempi. Se la cig d’emergenza finisce e l’impresa non può licenziare, cosa può fare? Anche se ha livelli di attività ridimensionati o addirittura azzerati, l’impresa non può fare nulla per evitare gli obblighi retributivi. Non invocare un’impossibilità della prestazione che non c’è, né imporre, che so, piani di riduzioni temporanee di orario e salario, a meno che dall’altra parte trovi lavoratori o sindacati disponibili ad accordi. Mancando tali intese d’emergenza all’impresa non resterebbe che aggravare il proprio indebitamento, istituti di credito permettendo, o avvitarsi in dinamiche di ritardati o addirittura omessi pagamenti, che la spingerebbero verso l’insolvenza e quindi verso il concordato preventivo o il fallimento. Col risultato - tra l’altro - che quegli oneri retributivi evitati all’inizio lo Stato se li ritroverebbe lo stesso sulle spalle ( limitatamente alle ultime tre mensilità e al Tfr) come Fondo di garanzia Inps. Ma, soprattutto, a quel punto sarebbe stata affossata l’impresa, e con essa la sua possibilità di riprendersi e produrre nuova occupazione nel futuro. Non sarebbe un gran risultato neppure per gli stessi lavoratori.
Lei è un giurista. Il lavoro si difende davvero con una iper-produzione normativa, spesso a “danno” del mondo produttivo?
Non arriverei a dire questo. Non va dimenticato che il Governo e il legislatore si sono trovati a governare una crisi drammatica, e purtroppo ancora lontana dalla fine. Certo però che affrontare il problema del lavoro soltanto o prevalentemente dal lato dei pur necessari sussidi, senza aver individuato, se non per alcuni comparti, misure davvero efficaci per la salvaguardia della base produttiva del paese, dalla quale dipende il destino ultimo degli stessi lavoratori, è stata una scelta politicamente prevedibile, ma che mostra ora il fiato corto. Cambiare passo richiede però di riconoscere quel che non per tutti è ovvio, ossia che imprese e lavoro potranno salvarsi soltanto insieme.