Storytelling per intercettare i migliori candidati
«L’appartenenza esclusiva di una persona ad una azienda è un concetto del passato. Il concetto di fedeltà del consumatore si sta evolvendo e ora si parla di occasioni di consumo. Allo stesso modo da un concetto di appartenenza dei collaboratori si passerà ad un concetto di incontro, magari anche intenso, ma non eterno. Ecco perché l’employer branding avrà un ruolo nel futuro se saprà offrire soluzioni per questo incontro». Così Mario Perego, Hr Director di Heineken Italia. Lo storico colosso olandese produttore di birra con centinaia di siti produttivi in oltre 70 Paesi del mondo ha lanciato già quattro anni fa Go Places, campagna di employer branding non convenzionale legata all’acquisizione di talenti e realizzata in collaborazione con 600 dipendenti. Obiettivo: guidare il candidato illustrandogli in una modalità innovativa ciò che rende l’azienda un posto di lavoro speciale. C’è stato poi “The Candidate”, una brand activation realizzata con Publicis e che ha stravolto le regole classiche del recruiting. E accanto ai progetti speciali una sterminata azione di ascolto e contatto con i talenti attraverso rete e social media. «In epoca antica si fondavano le città, oggi si fondano – ma in realtà si rifondano in continuazione – le imprese. Ecco perché il futuro per l’employer branding sta nel cogliere la centralità del lavoro nella vita delle persone, riuscendo ad aggiornare la relazione tra individui e aziende», precisa Perego.
Come sta evolvendo l’employer branding?
Da strumento per far conoscere l’azienda come datore di lavoro sta diventando un vero e proprio approccio integrato al corporate storytelling. Parte dal purpose e identifica attraverso questo il Dna peculiare di un’azienda, che poi viene comunicato come fattore distintivo.
Anche nel recruiting si parla di storytelling?
Oggi le narrazioni sulle persone diventano ancora più centrali, sia perché ne sono la rappresentazione reale sia perché costituiscono un essenziale elemento di reputazione.
Cosa ha determinato questa nuova era del lavoro?
Un grande salto tecnologico. Tutto il processo di conoscenza e selezione dei candidati si è spostato online. Candidati e reclutatori hanno imparato nuove tecniche e nuovi galatei legati al diverso mezzo di comunicazione. È un percorso ancora in divenire in cui siamo tutti coinvolti e che porterà ancora altri cambiamenti. Finora l’acquisizione della cultura d’azienda da parte dei nuovi arrivati si basava sulla presenza fisica. Tutti ricordiamo i primi giorni di lavoro, le prime pause pranzo, le battute al caffè.
Nella campagna “The Candidate” avete messo candidati di fronte a situazioni impossibili. Oggi qual è la sfida impossibile?
La vera “mission impossible” è migliorarsi sempre, ogni giorno. Conoscersi, conoscere la propria squadra, ammettere i propri errori e aggiustare velocemente quello che non va. Occorre essere agili, antifragili come dice Nassim Taleb, ossia essere adattivi, curiosi e ambiziosi.
Social media e recruiting: che legame c’è?
I social sono e saranno importanti. Se c’è una cosa che è cambiata è che le aziende hanno imparato a usarli meglio, compreso il fatto che sono mezzi e non fini.
Una volta le persone dell’azienda erano anonime e restavano ancorate alle mura dell’azienda. E oggi?
La società cambia in continuazione. Oggi le persone si identificano di meno e molte cose sono più frammentate o con riferimenti più fragili. Tutto questo secondo me non è né un rischio né un’opportunità: è un contesto più complesso e più mutevole, di cui le aziende devono tenere conto, imparare e adattarsi continuamente.