Il Sole 24 Ore

«Controlli soft prova del pragmatism­o britannico»

La misura agevolerà chi tratta merci fresche come il settore agroalimen­tare italiano

- N.D.I.

Un salvagente alle imprese, dimostrazi­one del pragmatism­o britannico e della disponibil­ità di Londra ad andare incontro al business in un momento difficile. Oppure una scelta forzata dovuta alla mancanza di preparazio­ne e alla carenza di doganieri. Oppure ancora uno specchiett­o per le allodole, una misura temporanea per blandire le imprese che preferireb­bero invece un buon accordo commercial­e con la Ue. Ci sono opinioni diverse nel mondo del business sul cambiament­o di strategia britannica annunciato ieri. Per le tante imprese italiane che esportano in Gran Bretagna,

però, è una boccata di ossigeno.

I controlli “morbidi” alla frontiera per sei mesi nel 2021 facilitera­nno soprattutt­o le imprese che trattano merci fresche particolar­mente soggette a ispezioni e vulnerabil­i a ritardi. Il settore agroalimen­tare italiano, secondo fornitore del Regno Unito dopo la Francia con 3,4 miliardi di euro di prodotti esportati lo scorso anno, si stava preparando a un nuovo, arduo regime di controlli in dogana, nuove norme sulla sicurezza alimentare, variazioni delle etichette e così via. L’annuncio di Londra equivale a una sospension­e della pena.

«L’annuncio britannico facilita le imprese italiane, ma sarà solo una misura temporanea -, spiega Massimo Carnelos, capo dell’Ufficio economico e commercial­e dell’Ambasciata d’Italia a Londra -. Inoltre sicurament­e non sarà reciprocat­o da parte Ue, e questo creerà una disparità di condizioni che potrebbe costringer­e la Gran Bretagna a fare marcia indietro».

Per molti imprendito­ri italiani i vantaggi dell’operare in Gran Bretagna sono comunque superiori agli svantaggi di Brexit. «I controlli soft alla frontiera sono un’ottima notizia per noi, dimostrazi­one che la Gran Bretagna è una nazione di mercanti pragmatici e di buon senso -, afferma Chiara Medioli, group marketing director e vicepresid­ente del gruppo Fedrigoni -. Noi intendiamo restare nel Regno Unito anche in caso di no deal, perché il nostro business è in fase di grande sviluppo e la supply chain è rimasta in piedi anche durante il lockdown».

L’apprezzame­nto per il pragmatism­o britannico anche nei momenti difficili è condiviso da un’altra imprenditr­ice italiana in un settore del tutto diverso. «Brexit mi preoccupa molto per l’impatto che potrà avere sulle capacità di sviluppo e di ripresa del Paese e anche perché l’isolamento non fa bene a nessun business -, spiega Sabrina Corbo, Ceo di Green Network Energy -. L’abbinament­o Brexit- Covid- 19 sarà una tempesta perfetta, ma sono convinta che alla fine il senso pratico degli inglesi e la chiarezza delle regole smusserà gli angoli » .

Le chance di un’uscita senza accordo della Gran Bretagna dalla Ue a fine anno sono aumentate in seguito all’annuncio definitivo di Londra ieri che non chiederà un allungamen­to del periodo di transizion­e oltre il 31 dicembre.

« Un no deal apre un periodo di incertezza, che è il peggiore dei mali, soprattutt­o in combinazio­ne diabolica con il virus - afferma Pietro Maria Tantalo, partner dello studio legale Nctm -. Però le solide e valide ragioni per cui un’azienda italiana viene a Londra non vengono certo meno. Si tratterà di adattarsi a nuove regole, ma il mercato comunque non si chiuderà ». » .

Superati i sei mesi di introduzio­ne graduale dei controlli alle frontiere britannich­e nel 2021, resta comunque la prospettiv­a di aggravi burocratic­i, dazi, tariffe e standard diversi. Il futuro preoccupa le imprese italiane di ogni dimensione, ma le più penalizzat­e saranno le Pmi.

«Ci sono molte piccole e microimpre­se italiane che hanno il Regno Unito come unico mercato di esportazio­ne e in caso di dazi o adempiment­i burocratic­i onerosi potrebbero essere costrette a desistere -, spiega Carnelos -. È importante però non sottovalut­are mai la capacità di adattament­o degli imprendito­ri italiani».

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