Il Sole 24 Ore

UN RUOLO PER LA UE NEL DOPO PANDEMIA

- Di Sergio Fabbrini

Non poteva essere diversamen­te. La pandemia sta spingendo l’Unione europea (Ue) e i suoi Stati membri a fronteggia­re le sue conseguenz­e economiche e sociali al loro interno. Eppure, la pandemia ha accelerato processi di trasformaz­ione del sistema internazio­nale che avranno un impatto sulla capacità, dell’Ue e dei suoi Stati membri, di gestire quelle conseguenz­e (sarebbe bene che a Villa Doria-Pamphilij se ne ricordasse­ro). Se è vero che il mercato unico europeo ha potuto sviluppars­i nelle condizioni di un sistema internazio­nale multilater­ale imperniato sull’alleanza transatlan­tica, la messa in discussion­e di quel sistema è destinata a ridimensio­narne le potenziali­tà, in particolar­e dopo la crisi pandemica. La sostituzio­ne del multilater­alismo con lo scontro tra grandi potenze ha reso evidente la debolezza struttural­e dell’Ue, quella di essere un gigante economico ma un nano politico. Se l’alleanza transatlan­tica (Nato) e gli Stati Uniti (Usa) garantisco­no sempre di meno l’Europa, come garantire la nostra sicurezza economica e sociale, oltre che il nostro sistema di valori?

Cominciamo dagli Usa. Questi ultimi continuano ad essere l’unica potenza globale esistente. Le previsioni sul loro declino si sono rivelate esagerate (Ruchir Scharma e Mick Cox). Piuttosto che il declino degli Usa, è stata l’ascesa di altre grandi potenze (Cina, in particolar­e) che ha condotto alla ridefinizi­one dei rapporti di potere internazio­nali. La crisi pandemica ha accelerato la formazione di un sistema di grandi potenze (Graham Allison) in cui nessuno è in grado di imporsi sugli altri, ma in cui nessuno vuole collaborar­e con gli altri (Richard Haas).

LLzazioneL o scontro esterno è divenuto la condizione per generare il consenso interno. Si guardi agli Usa. Il presidente Trump ha spinto verso la radicalizr­adicalizza­zione dello scontro con la Cina, non solamen- solamente te perché quest’ultima è responsabi­le della diffusione della pandemia, ma anche perché ha bisogno di trovare un parafulmin­e per le conseguenz­e economiche di quest’ultima (nell’ultimo mese, più di 40 milioni di americani hanno fatto richiesta di un sussidio di disoccupaz­ione, alla fine del 2020 il deficit federale sarà del 18,7 per cento del Pil e il debito federale sarà superiore alle stesse dimensioni dell’economia nazionale). Ma la Cina non è l’unico nemico per Trump. In un tweet di pochi giorni fa, il presidente ha minacciato il ritiro di 9.500 soldati americani dalla Germania come reazione al rifiuto di Angela Merkel di partecipar­e di persona ad una riunione del G-7 a Washington D.C. (anche se nessuna decisione ufficiale è stata finora presa). Naturalmen­te, Joe Biden potrebbe sostituire Donald Trump il prossimo novembre. Ma la pelle dell’orso non è ancora in vendita. Joe Biden è in testa nei sondaggi nazionali, ma Donald Trump è competitiv­o nei collegi elettorali degli stati (come Ohio, Wisconsin, Pennsylvan­ia, Michigan e Florida) in cui si deciderà l'elezione presidenzi­ale. Inoltre, le tendenze nazionalis­te continuera­nno a farsi sentire nel Senato, istituzion­e cruciale per la politica estera e di difesa. Comunque vada, è indubbio che l'alleanza transatlan­tica dovrà essere radicalmen­te ripensata (Nick Burns).

Veniamo alla Ue. I suoi principali leader sembrano essere consapevol­i dei cambiament­i intervenut­i. Il 27 maggio scorso, di fronte al Bundestag, Angela Merkel ha riconosciu­to che «la pandemia ha modificato in modo radicale molte cose» obbligando la Ue ad agire «come forza responsabi­le non solo al suo interno, ma anche verso l’esterno…La pandemia è uno stress test per la politica estera e di sicurezza europea». In un articolo dell’aprile 2020 (pubblicato in Italia dall’Istituto Affari Internazio­nali), Josep Borrell, il capo della diplomazia europea, ha sostenuto che laUe deve «proteggers­i collettiva­mente». In un’intervista al Financial Times del 17 aprile scorso, Emmanuel Macron ha ricordato «che la Ue è giunta ad un momento di verità, decidere se vuole divenire un progetto politico oppure rimanere sempliceme­nte un progetto di mercato». Tuttavia, a tali dichiarazi­oni, non sembrano seguire scelte conseguent­i. Anzi, per fare fronte alla crisi pandemica, si sta registrand­o una pressione per ridurre le risorse previste (nel bilancio pluriennal­e 2021-2027) per loEuropean lo European Defense Fund

(EDF), oltre che per programmi più limitati come Military Mobility o European Medical Command. Con l’uscita del Regno Unito, la leadership francese ha parlato più volte di dotare laUe di «autonomia strategica», ma si è guardata dal proporre la condivisio­ne europea del seggio francese al Consiglio di sicurezza dell’Onu. La Francia chiede alla Germania di condivider­e i rischi fiscali, ma è restia a condivider­e le sue risorse militari. Anche se il commissari­o Thierry Breton è al lavoro per promuovere le basi tecnologic­he e industrial­i della politica militare e della difesa europee, senza le quali laUe non potrebbe acquisire un’autonomia operativa, la pandemia ha aperto divisioni tra Stati che rendono difficile la loro cooperazio­ne. Certamente, la rielezione di Trump obblighere­bbe laUe a superare tali divisioni, ma ciò avverrebbe in un sistema internazio­nale deteriorat­o e inospitale. La sconfitta di Trump interrompe­rebbe la deriva nazionalis­ta degli Usa, ma allo stesso tempo ridurrebbe la spinta affinché laUe si doti di una sua autonomia militare e operativa. Un paradosso che richiede (per uscirne) la creazione di una capacità militare europea (limitata ma autonoma) con cui riequilibr­are la leadership americana della Nato.

Insomma, la Ue non dovrà diventare una grande potenza, ma non potrà neppure divenire la preda di grandi potenze (come sta avvenendo con Huawei). Anche sul piano della politica militare e della difesa, come sta cercando di fare sul piano della politica fiscale, essa dovrà cambiare paradigma. Non si tratta di sottrarre sovranità militare agli stati membri, ma di creare una sovranità militare della Ue, limitata ma indipenden­te dai suoi Stati membri. Così come laUe si sta dotando di una fiscal capacity per rispondere alle domande interne, dovrà anche acquisire una military capacity, all’interno di una rinnovata Nato, per rispondere alle minacce esterne. La nostra sicurezza, economica e militare, oltre che del sistema di valori che ci caratteriz­za, è nelle nostre mani.

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