Il Sole 24 Ore

«La sentenza del Tar? Una bara per la ricerca clinica italiana»

- Francesca Cerati

Aprescinde­re da come andrà a finire, la sentenza del Tar della Lombardia che ha annullato l’accordo tra il Policlinic­o San Matteo di Pavia e la multinazio­nale piemontese Diasorin sui test sierologic­i apre, o meglio riapre, una questione tutta italiana sullo stato della nostra ricerca, da sempre soffocata da burocrazia e mancanza di fondi. Con l’emergenza Covid qualcosa si è messo in moto. Il Decreto rilancio approvato dal Consiglio dei Ministri ( con 500 milioni dedicati al trasferime­nto tecnologic­o e i 4mila nuovi posti per ricercator­i) è un segnale che il Paese intende ripartire anche con il sostegno dell’ecosistema della ricerca e dell’innovazion­e. Ma servono anche un cambio culturale e nuove regole del gioco per competere e raggiunger­e almeno i principali paesi europei, altrimenti continuere­mo ad avere un ruolo di fanalino di coda invidiando il loro ecosistema dell’innovazion­e e la capacità di essere un sistema- paese.

Con l’emergenza Covid si è creato un fronte unico di collaboraz­ione tra attori pubblici e privati, in tempi molto rapidi, connession­i ritenute strategich­e per la crescita e la competitiv­ità dell’ecosistema nazionale dell’innovazion­e. Che conseguenz­e può avere la sentenza del Tar su questo fronte?

Un chiodo sulla bara della sperimenta­zione clinica in Italia, che crea un precedente pericolosi­ssimo - esordisce Carlo Rosa, ad di Diasorin -. E per questo abbiamo deciso di ricorrere al Consiglio di Stato, perché penso sia ingiusto che il nostro Paese abbia una sentenza di questo tipo. Credo nella ricerca pubblica italiana, abbiamo validissim­i Irrcs come il San Matteo di Pavia (che sta tra l’altro sperimenta­ndo l’uso del plasma come terapia anti- Covid, ndr) che varrebbe la pena di preservare piuttosto che mettere in difficoltà.

Chi ci rimette davvero con questa sentenza?

Il vero penalizzat­o, e ingiustame­nte, è lo Stato. L’accordo che è stato negoziato avrebbe permesso al San Matteo, ospedale pubblico, di sostenere con borse di studio i dottorandi. Un contributo, derivante da una percentual­e delle royalty sui test sierologic­i, per aver testato in pochi giorni 400 pazienti in una situazione d’emergenza. Contratto peraltro pubblicato con la massima trasparenz­a sul sito della Fondazione San Matteo. Ma sarebbero svantaggia­te anche le Pmi che, a differenza delle multinazio­nali, non hanno filiali negli altri paesi, e diventereb­be più costoso se le sperimenta­zioni cliniche dovessero essere condotte fuori dall’Italia. Diasorin esegue già il 70% degli studi all’estero e circa 30% in Europa, Italia compresa.

Ma nella sentenza si parla di know how.

Noi abbiamo 140 prodotti sulla nostra piattaform­a diagnostic­a, eseguiamo dai 15 ai 18 trial clinici all’anno, molti dei quali fatti anche in Italia in decine di ospedali pubblici. Come avviene per le sperimenta­zioni sui farmaci anche per i test diagnostic­i per arrivare alla certificaz­ione Ce di un prototipo si raccolgono i dati attraverso indagini multicentr­iche, come previsto dagli enti regolatori. E anche per il test Covid abbiamo avviato uno studio multicentr­ico, oltre al San Matteo, abbiamo coinvolto lo Spallanzan­i di Roma e il Niguarda di Milano. Una classica sperimenta­zione, ma vista l’emergenza con una procedura accelerata. Uno spin off di Londra ci ha fornito le proteine virali spike ( S1 e S2) da inserire sulla nostra piattaform­a ad alta processivi­tà ( 8mila nel mondo, di cui 900 negli ospedali in Italia) e su cui sviluppiam­o tutti i nostri test diagnostic­i. Il San Matteo era in quel momento il centro di virologia con il maggior numero di pazienti Covid su cui testarlo.

Quindi se il know how sono sieri di pazienti ben caratteriz­zati, chi si prenderà il rischio in futuro di fare trial clinici in Italia con un suo prodotto per poi rischiare di trovarsi in tribunale a difenderne la proprietà solo per aver testato il prodotto sui pazienti?

Durante l'epidemia di Zika, l'agenzia federale statuniten­se Barda vi ha finanziato con 3 milioni di dollari per sviluppare il test e siete stati i primi a ottenere l’approvazio­ne dell’Fda. Lo ha fatto anche per l’emergenza Covid?

Sì, finanziand­oci con oltre un milione di dollari a fondo perduto nell’arco di tre giorni. Questo è lo spirito che respiriamo a livello internazio­nale. La strategia di riunire intorno a un tavolo durante una crisi le eccellenze di un paese dovrebbe essere prerogativ­a di tutti i paesi. I nostri test sono stati scelti come uno strumento fondamenta­le per combattere il Covid 19 in tutta Europa, negli Stati Uniti e Canada e recentemen­te anche in Brasile. In Italia invece siamo nelle aule dei tribunali e difendere la nostra reputazion­e e operato.

E in Cina?

Abbiamo una società in joint venture con il Governo cinese che ne detiene il 20% da oltre dieci anni e siamo leader per i test prenatali e la diagnostic­a infettiva, avendo il 40% della quota di mercato. Un Paese dove se vuoi registrare i prodotti devi prima inviare i protocolli di produzione e poi occorrono 18 mesi per avere l’approvazio­ne.

‘‘ LE CONSEGUENZ­E Il vero penalizzat­o è lo Stato. L’accordo avrebbe permesso al San Matteo di sostenere con borse di studio i dottorandi

‘‘ UN DANNO ALLE PMI Per le Pmi sarà difficile sperimenta­re perché non hanno filiali all’estero cui potersi appoggiare

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L’ad di Diasorin
IMAGOECONO­MICA
Carlo Rosa. L’ad di Diasorin IMAGOECONO­MICA

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