«La sentenza del Tar? Una bara per la ricerca clinica italiana»
Aprescindere da come andrà a finire, la sentenza del Tar della Lombardia che ha annullato l’accordo tra il Policlinico San Matteo di Pavia e la multinazionale piemontese Diasorin sui test sierologici apre, o meglio riapre, una questione tutta italiana sullo stato della nostra ricerca, da sempre soffocata da burocrazia e mancanza di fondi. Con l’emergenza Covid qualcosa si è messo in moto. Il Decreto rilancio approvato dal Consiglio dei Ministri ( con 500 milioni dedicati al trasferimento tecnologico e i 4mila nuovi posti per ricercatori) è un segnale che il Paese intende ripartire anche con il sostegno dell’ecosistema della ricerca e dell’innovazione. Ma servono anche un cambio culturale e nuove regole del gioco per competere e raggiungere almeno i principali paesi europei, altrimenti continueremo ad avere un ruolo di fanalino di coda invidiando il loro ecosistema dell’innovazione e la capacità di essere un sistema- paese.
Con l’emergenza Covid si è creato un fronte unico di collaborazione tra attori pubblici e privati, in tempi molto rapidi, connessioni ritenute strategiche per la crescita e la competitività dell’ecosistema nazionale dell’innovazione. Che conseguenze può avere la sentenza del Tar su questo fronte?
Un chiodo sulla bara della sperimentazione clinica in Italia, che crea un precedente pericolosissimo - esordisce Carlo Rosa, ad di Diasorin -. E per questo abbiamo deciso di ricorrere al Consiglio di Stato, perché penso sia ingiusto che il nostro Paese abbia una sentenza di questo tipo. Credo nella ricerca pubblica italiana, abbiamo validissimi Irrcs come il San Matteo di Pavia (che sta tra l’altro sperimentando l’uso del plasma come terapia anti- Covid, ndr) che varrebbe la pena di preservare piuttosto che mettere in difficoltà.
Chi ci rimette davvero con questa sentenza?
Il vero penalizzato, e ingiustamente, è lo Stato. L’accordo che è stato negoziato avrebbe permesso al San Matteo, ospedale pubblico, di sostenere con borse di studio i dottorandi. Un contributo, derivante da una percentuale delle royalty sui test sierologici, per aver testato in pochi giorni 400 pazienti in una situazione d’emergenza. Contratto peraltro pubblicato con la massima trasparenza sul sito della Fondazione San Matteo. Ma sarebbero svantaggiate anche le Pmi che, a differenza delle multinazionali, non hanno filiali negli altri paesi, e diventerebbe più costoso se le sperimentazioni cliniche dovessero essere condotte fuori dall’Italia. Diasorin esegue già il 70% degli studi all’estero e circa 30% in Europa, Italia compresa.
Ma nella sentenza si parla di know how.
Noi abbiamo 140 prodotti sulla nostra piattaforma diagnostica, eseguiamo dai 15 ai 18 trial clinici all’anno, molti dei quali fatti anche in Italia in decine di ospedali pubblici. Come avviene per le sperimentazioni sui farmaci anche per i test diagnostici per arrivare alla certificazione Ce di un prototipo si raccolgono i dati attraverso indagini multicentriche, come previsto dagli enti regolatori. E anche per il test Covid abbiamo avviato uno studio multicentrico, oltre al San Matteo, abbiamo coinvolto lo Spallanzani di Roma e il Niguarda di Milano. Una classica sperimentazione, ma vista l’emergenza con una procedura accelerata. Uno spin off di Londra ci ha fornito le proteine virali spike ( S1 e S2) da inserire sulla nostra piattaforma ad alta processività ( 8mila nel mondo, di cui 900 negli ospedali in Italia) e su cui sviluppiamo tutti i nostri test diagnostici. Il San Matteo era in quel momento il centro di virologia con il maggior numero di pazienti Covid su cui testarlo.
Quindi se il know how sono sieri di pazienti ben caratterizzati, chi si prenderà il rischio in futuro di fare trial clinici in Italia con un suo prodotto per poi rischiare di trovarsi in tribunale a difenderne la proprietà solo per aver testato il prodotto sui pazienti?
Durante l'epidemia di Zika, l'agenzia federale statunitense Barda vi ha finanziato con 3 milioni di dollari per sviluppare il test e siete stati i primi a ottenere l’approvazione dell’Fda. Lo ha fatto anche per l’emergenza Covid?
Sì, finanziandoci con oltre un milione di dollari a fondo perduto nell’arco di tre giorni. Questo è lo spirito che respiriamo a livello internazionale. La strategia di riunire intorno a un tavolo durante una crisi le eccellenze di un paese dovrebbe essere prerogativa di tutti i paesi. I nostri test sono stati scelti come uno strumento fondamentale per combattere il Covid 19 in tutta Europa, negli Stati Uniti e Canada e recentemente anche in Brasile. In Italia invece siamo nelle aule dei tribunali e difendere la nostra reputazione e operato.
E in Cina?
Abbiamo una società in joint venture con il Governo cinese che ne detiene il 20% da oltre dieci anni e siamo leader per i test prenatali e la diagnostica infettiva, avendo il 40% della quota di mercato. Un Paese dove se vuoi registrare i prodotti devi prima inviare i protocolli di produzione e poi occorrono 18 mesi per avere l’approvazione.
‘‘ LE CONSEGUENZE Il vero penalizzato è lo Stato. L’accordo avrebbe permesso al San Matteo di sostenere con borse di studio i dottorandi
‘‘ UN DANNO ALLE PMI Per le Pmi sarà difficile sperimentare perché non hanno filiali all’estero cui potersi appoggiare