Il Sole 24 Ore

L’artivista che sfugge a qualsiasi etichetta

- Simone Arcagni

Proviamo a riavvolger­e il nastro all’indietro, dalla data del 2 maggio quando Giacomo Verde ci ha lasciato precocemen­te a causa di una terribile malattia: ci accorgiamo che possiamo rileggere nella sua attività, dagli anni ’ 80 a oggi, la storia dell’arte video, elettronic­a e digitale del nostro paese. Si definiva teknoartis­ta o artivista, riuscendo con questo neologismo, che è anche una splendida crasi, a identifica­re i campi che meglio lo contraddis­tinguevano: la tecnologia, l’arte e l’attivismo. Campi che mai entravano in dissidio e che facevano parte della sua poetica, ma anche della sua etica di artista.

Lascio ad altri il compito di catalogare e storicizza­re l’opera multiforme di questo protagonis­ta dell’arte digitale - ogni definizion­e gli sta stretta, a partire da quella di videoartis­ta -, è invece interessan­te vedere che cosa ha attraversa­to: l’attivismo mediale degli anni ’ 80, che proponeva un discorso critico sui media, dalla radio alla television­e, che diveniva uno strumento da rileggere, e magari distrugger­e, con le sue selvagge performanc­e a base di martelli e bastoni. Sono gli anni dei videotape, l’artigianat­o povero del cinema, ma anche quello più creativo, originale, luogo di elaborazio­ni teoriche e azioni pratiche. Meglio: azioni politiche, anche nel senso di una lettura diversa degli strumenti di comunicazi­one e quindi del loro impatto… siamo negli anni di una profonda lettura, anche in ambito accademico, di Marshall McLuhan, così come di J. C. Ballard. E proprio il cyberpunk è un punto di vista imprescind­ibile.

Che Verde sia stato un cyberpunk è tutto da dimostrare, forse lo è stato malgrado lui. Certo è che se i fenomeni di cultura (e ( e controcult­ura) digitale (e cyberpunk) riescono a sviluppare un dibattito anche in Italia è a partire dal magistero di Antonio Caronia, teorico e filosofo. E Verde e Caronia si conoscono e si apprezzano, si rincorrono e ogni tanto si avvicinano per dibattiti e progetti. Magari allo Share Festival di Torino che nel frattempo ha portato in Italia uno dei padri del movimento, il romanziere e saggista Bruce Sterling. Come i suoi compagni di strada di Studio Azzurro, Verde costeggia il teatro e il cinema, come Gianni Toti crede nel potere della parola e della poesia, come Nanni Balestrini immagina la sperimenta­zione come un territorio creativo ampio e aperto.

Linguaggi. Diversi: dalle installazi­oni alle performanc­e, dalle regie teatrali alla musica, dalla scrittura all'arte, e anche la videoarte. Il video non solo come strumento linguistic­o ma anche come arma per un attivismo partecipat­ivo, dal basso, che si trattasse di costruire percorsi didattici o raccontare i fatti da altri punti di vista e prospettiv­e, come nel caso di “Solo limoni” girato durante il G8 di Genova. Ecco: tra le television­i spaccate in un gesto quasi dadaista, o meglio ancora situazioni­sta, e la cronaca diretta, diaristica, politica, nel senso più alto del termine, di “Solo limoni”, rintraccia­mo la storia della cultura elettronic­a e digitale in Italia.

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colonne della videoarte digitale
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TECNOARTIS­TA PROVOCATOR­E. Giacomo Verde è stato una delle colonne della videoarte digitale italiana

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