L’artivista che sfugge a qualsiasi etichetta
Proviamo a riavvolgere il nastro all’indietro, dalla data del 2 maggio quando Giacomo Verde ci ha lasciato precocemente a causa di una terribile malattia: ci accorgiamo che possiamo rileggere nella sua attività, dagli anni ’ 80 a oggi, la storia dell’arte video, elettronica e digitale del nostro paese. Si definiva teknoartista o artivista, riuscendo con questo neologismo, che è anche una splendida crasi, a identificare i campi che meglio lo contraddistinguevano: la tecnologia, l’arte e l’attivismo. Campi che mai entravano in dissidio e che facevano parte della sua poetica, ma anche della sua etica di artista.
Lascio ad altri il compito di catalogare e storicizzare l’opera multiforme di questo protagonista dell’arte digitale - ogni definizione gli sta stretta, a partire da quella di videoartista -, è invece interessante vedere che cosa ha attraversato: l’attivismo mediale degli anni ’ 80, che proponeva un discorso critico sui media, dalla radio alla televisione, che diveniva uno strumento da rileggere, e magari distruggere, con le sue selvagge performance a base di martelli e bastoni. Sono gli anni dei videotape, l’artigianato povero del cinema, ma anche quello più creativo, originale, luogo di elaborazioni teoriche e azioni pratiche. Meglio: azioni politiche, anche nel senso di una lettura diversa degli strumenti di comunicazione e quindi del loro impatto… siamo negli anni di una profonda lettura, anche in ambito accademico, di Marshall McLuhan, così come di J. C. Ballard. E proprio il cyberpunk è un punto di vista imprescindibile.
Che Verde sia stato un cyberpunk è tutto da dimostrare, forse lo è stato malgrado lui. Certo è che se i fenomeni di cultura (e ( e controcultura) digitale (e cyberpunk) riescono a sviluppare un dibattito anche in Italia è a partire dal magistero di Antonio Caronia, teorico e filosofo. E Verde e Caronia si conoscono e si apprezzano, si rincorrono e ogni tanto si avvicinano per dibattiti e progetti. Magari allo Share Festival di Torino che nel frattempo ha portato in Italia uno dei padri del movimento, il romanziere e saggista Bruce Sterling. Come i suoi compagni di strada di Studio Azzurro, Verde costeggia il teatro e il cinema, come Gianni Toti crede nel potere della parola e della poesia, come Nanni Balestrini immagina la sperimentazione come un territorio creativo ampio e aperto.
Linguaggi. Diversi: dalle installazioni alle performance, dalle regie teatrali alla musica, dalla scrittura all'arte, e anche la videoarte. Il video non solo come strumento linguistico ma anche come arma per un attivismo partecipativo, dal basso, che si trattasse di costruire percorsi didattici o raccontare i fatti da altri punti di vista e prospettive, come nel caso di “Solo limoni” girato durante il G8 di Genova. Ecco: tra le televisioni spaccate in un gesto quasi dadaista, o meglio ancora situazionista, e la cronaca diretta, diaristica, politica, nel senso più alto del termine, di “Solo limoni”, rintracciamo la storia della cultura elettronica e digitale in Italia.