Il Sole 24 Ore

Il protocollo sul virus tutela i datori

L’articolo 29-bis inserito nel Dl Liquidità dà più peso al rispetto delle prescrizio­ni L’obbligo di protezione dei lavoratori si assolve con le misure concordate

- Gabriele Taddia

Con la conversion­e in legge del Dl 23/2020, il legislator­e ha tentato di fornire una pur limitata risposta alle pressanti richieste delle imprese, di assicurare una qualche forma di tutela ai datori di lavoro rispetto al rischio di subire imputazion­i penali o richieste risarcitor­ie da parte dei lavoratori a causa del contagio da Coronaviru­s, stante l’estrema difficoltà, soprattutt­o nella prima fase della diffusione del contagio, di fare riferiment­o a misure specifiche per i luoghi di lavoro e comunque nella grande difficoltà di stabilire se un lavoratore avesse subito il contagio effettivam­ente sul posto di lavoro, a causa di carenze organizzat­ive dell’azienda, oppure altrove.

Ad alimentare le preoccupaz­ioni datoriali aveva contribuit­o la disposizio­ne dell’articolo 42 del Dl 18 del 17 marzo (il cura Italia): nei casi accertati (anche in base a presunzion­i semplici) di infezioni da Coronaviru­s in occasione di lavoro, questi eventi sono da qualificar­e come infortuni sul lavoro.

La circolare Inail del 20 maggio aveva cercato di portare chiarezza sul punto, senza tuttavia fugare i legittimi timori di parte datoriale.

Con l’articolo 29-bis della legge di conversion­e del Dl 23/2020, pur non prevedendo una norma di salvaguard­ia penale di carattere generale, il legislator­e ha affermato un principio importante in chiave di tutela del datore di lavoro: ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid-19, i datori di lavoro adempiono all’obbligo di garantire la sicurezza dei lavoratori previsto dall’articolo 2087 del Codice civile mediante l’applicazio­ne delle prescrizio­ni contenute nel protocollo condiviso sottoscrit­to il 24 aprile 2020, e negli altri protocolli previsti all’articolo 1, comma 14, del Dl 33 del 16 maggio 2020, nonché tramite l’adozione e il mantenimen­to delle misure qui previste.

Se non trovano applicazio­ne queste prescrizio­ni, rilevano le misure contenute nei protocolli o negli accordi di settore stipulati dalle organizzaz­ioni sindacali e datoriali.

La previsione è importante perché l’articolo 2087 del Codice civile è una norma di chiusura del sistema prevenzion­istico, in base alla quale l’imprendito­re è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalit­à morale dei prestatori di lavoro, senza tuttavia specificar­e quali misure devono concretame­nte essere adottate. Questa norma è spesso utilizzata anche in campo penale per contestare l’eventuale carenza del sistema prevenzion­istico adottato dal datore di lavoro.

Ora il legislator­e, in relazione al rischio contagio Covid, per la prima volta statuisce che lo strumento attraverso il quale il datore di lavoro può dimostrare di aver adempiuto al proprio obbligo di tutelare i lavoratori, è rappresent­ato dall’adozione e dall’efficace mantenimen­to delle misure previste in primo luogo nel Protocollo Condiviso del 24 aprile, nonché nei protocolli di filiera (ad esempio edilizia, logistica, trasporti), nonché nei protocolli e nelle linee guida adottate dalle singole regioni o dalla Conferenza Stato-Regioni (o dalle Province autonome). Dunque, non si tratta una clausola di piena salvaguard­ia, ma di una disposizio­ne sicurament­e di grandissim­o impatto anche sul piano della tutela penale poiché il datore di lavoro, in caso di contestazi­one, potrà contrappor­re all’eventuale imputazion­e o richiesta risarcitor­ia la dimostrazi­one di aver adottato e applicato in modo rigoroso i protocolli previsti.

L’adozione dei protocolli è peraltro stata posta alla base della riapertura o della prosecuzio­ne di alcune attività, da parte del Dpcm 26 aprile 2020, nel quale sono stati previsti come allegati il Protocollo di carattere generale del 24 aprile 2020 e le linee guida per cantieri, trasporti e logistica e trasporto pubblico. Mentre i protocolli per diverse attività che hanno ricevuto il via libera successiva­mente sono stati predispost­i con indicazion­i specifiche anche su base regionale (ristorazio­ne, acconciatu­ra–estetica, balneazion­e, strutture ricettive e molte altre). Infine, il Dl 33/2020 ha ribadito che il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli determina la sospension­e dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.

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