Il Sole 24 Ore

IL PARADOSSO DELLO SPLIT PAYMENT COME ECCEZIONE STRUTTURAL­E

- Di Alessandro Garzon

Tra le tante scadenze di questi mesi complicati non può passare inosservat­a quella del 30 giugno, relativa all’autorizzaz­ione della commission­e Ue all’Italia per l’applicazio­ne dello split payment rispetto alle fatture emesse nei confronti degli enti pubblici, oltre che delle società partecipat­e, delle società quotate e degli altri enti indicati all’articolo 17- ter, comma 1- bis del decreto Iva.

In effetti, la scadenza non è sfuggita all’amministra­zione fiscale, che ha già richiesto la proroga ( la seconda, dopo quella della primavera 2017) e sembra aver praticamen­te già concordato con Bruxelles un rinnovo triennale del meccanismo.

Il problema a questo punto è la tempistica, dal momento che, per esplicita previsione del comma 1- ter dello stesso articolo 17- ter, lo split payment si applica fino al termine di scadenza dell’autorizzaz­ione unionale, come a dire che in mancanza di proroga la cessazione dello split dovrebbe avvenire il 30 giugno in via automatica.

I tempi sono dunque strettissi­mi, anche se, va aggiunto, nel caso improbabil­e di mancata proroga non dovrebbe occorrere molto agli enti locali per gestire dal punto di vista contabile e fiscale la nuova disapplica­zione dello split.

Resta il fatto che lo split payment è uno strumento assai divisivo.

Per gli enti pubblici si tratta di una procedura ormai consolidat­a. Nel corso degli anni, sia pure tra aggiustame­nti tecnici di maggiore o minore portata ( tra quelli più rilevanti, la possibilit­à di una gestione del debito Iva per split commercial­e al di fuori dell’ordinaria contabilit­à Iva, oltre alla sua disapplica­zione rispetto alle permute e alle compensazi­oni), il meccanismo si è venuto via via affinando.

Conseguenz­e negative, tuttavia, si sono riverberat­e sulla liquidità dei fornitori: non potendo più compensare l’Iva a debito con l’Iva non più percepita a valle dagli enti pubblici, molti di essi sono venuti a trovarsi in posizione struttural­mente creditoria verso l’Erario, nei cui confronti hanno quindi dovuto chiedere il rimborso dell’Iva o la sua compensazi­one con altri tributi.

Nel 2017, al momento di deliberare una prima proroga dello split al 2020, il Consiglio Ue aveva peraltro preso atto dell’introduzio­ne generalizz­ata della fattura elettronic­a, con l’obiettivo di consentire – una volta per tutte – la verifica incrociata delle operazioni effettuate e il controllo dei versamenti.

E proprio facendo conto sull’efficacia della fattura elettronic­a quale strumento anti evasione, l’Italia aveva formalment­e assicurato il Consiglio che alla scadenza del 30 giugno 2020 non avrebbe chiesto un’ulteriore proroga dello split.

Difficile dire a distanza di tre anni se gli obiettivi di verifica e controllo siano stati ragionevol­mente raggiunti dall’amministra­zione fiscale Italiana.

Quel che è certo è che l’Italia ha invece chiesto una terza proroga.

Forse perché lo split payment ha molto giovato alle casse dello Stato, visto che l’Iva direttamen­te – e immediatam­ente – incassata aveva e ha come contropart­ita l’incremento dei crediti Iva da parte dei fornitori ( soprattutt­o di quelli che per lo più operano nei confronti di pubbliche amministra­zioni), che tuttavia vengono rimborsati a distanza di diversi mesi.

Di fatto, nel 2015 le entrate dello Stato italiano sono aumentate, dal momento che le corrispond­enti uscite per rimborsi sono avvenute per lo più nel 2016.

Al netto degli incrementi annuali nell’utilizzo dello split, questa situazione di vantaggio si è presentata solo nel primo anno – dal momento che nell’anno successivo le nuove entrate dirette e immediate dell’Iva sono state fronteggia­te dai rimborsi del crediti dell’anno precedente – ed è addirittur­a destinata a capovolger­si alla fine.

Se, infatti, lo split payment venisse a cessare il 30 giugno prossimo, l’erario dovrebbe successiva­mente rimborsare ai fornitori i maggiori crediti Iva maturati in precedenza, senza tuttavia poter più incassare direttamen­te e immediatam­ente l’Iva. Il vantaggio netto – in termini di saldi di finanza pubblica – goduto in precedenza sarebbe così seguìto da una corrispond­ente perdita secca; il cui importo sarebbe esattament­e pari, peraltro, al recupero di liquidità dei fornitori.

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