Londra e la Ue: volontà politica di chiudere sul nuovo accordo
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Il successo delle trattative dedicate al futuro partenariato tra la Gran Bretagna e l’Unione europea non è dietro l’angolo, ma vi è il desiderio delle parti di raddoppiare gli sforzi per trovare una intesa. L’impegno è stato confermato ieri dopo una teleconferenza al vertice, a cui hanno partecipato tra gli altri la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il premier britannico Boris Johnson. I tempi sono stretti; il negoziato deve terminare prima della fine dell’anno.
In una dichiarazione comune, Bruxelles e Londra si sono voluti cautamente ottimisti: «Le parti hanno (...) convenuto sia necessario un nuovo slancio. Hanno appoggiato i piani concordati dai capi negoziatori per intensificare i colloqui in luglio e creare le condizioni più favorevoli per la conclusione e la ratifica di un accordo entro la fine del 2020. Le parti hanno quindi sottolineato la loro intenzione di impegnarsi a fondo per instaurare un rapporto che operi nell’interesse dei cittadini dell’Unione e del Regno Unito».
La Gran Bretagna è uscita ufficialmente dall’Unione il 31 gennaio scorso. Attualmente è in vigore un periodo di transizione, che scade il 31 dicembre e alla fine del quale il paese uscirà anche dal mercato unico e dall’unione doganale. Questi mesi devono servire per siglare un accordo di partenariato che regolerà il futuro rapporto tra Londra e Bruxelles. Il governo britannico ha riaffermato la settimana scorsa che non intende chiedere un prolungamento del periodo di transizione.
L’impegno politico di ieri giunge mentre il negoziato in questi mesi è stato in surplace. Ancora di recente diplomatici qui a Bruxelles avevano notato una ostentata indifferenza dei negoziatori britannici a voler trovare un accordo di partenariato prima della fine dell’anno, per evitare una uscita senza rete dal mercato unico. Ieri l’impressione è che vi sia da parte britannica un rinnovato impegno a trovare una intesa, anche rapidamente in tempo per permettere le necessarie ratifiche.
«Non credo che in realtà siamo così distanti, ma ciò di cui abbiamo bisogno ora è di vedere un po’ di grinta nei negoziati», ha detto ieri da Londra il premier Johnson. Parlando alla televisione, ha precisato di avere detto ai rappresentanti dell’Unione che è necessario «mettere una tigre nel serbatoio» dei colloqui. Alla teleconferenza di ieri hanno partecipato anche il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il presidente del Parlamento europeo David Sassoli.
«Più velocemente chiudiamo, meglio sarà. Non vedo alcun motivo per cui non sia possibile chiudere entro luglio», ha detto l’uomo politico inglese. «Certamente, non voglio che il negoziato prosegua fino all’autunno, o all’inverno, come invece penso che a Bruxelles alcuni vorrebbero. Non vedo ragione che succeda, quindi adoperiamoci per trovare una intesa». Dalle parole del premier sembra emergere la consapevolezza che una uscita catastrofica dal mercato unico, ossia senza un accordo di partenariato, sarebbe alquanto dannosa per il Regno Unito. In un contesto sanitario drammatico, per via della pandemia influenzale, una Brexit incerta è ormai politicamente dannosa per il governo Johnson.
Quattro sono i nodi che ancora non sono stati risolti. Riguardano la pesca, l’accesso paritario al mercato (ossia ( ossia l’eventuale uso degli aiuti di Stato), la collaborazione giudiziaria e la gestione delle controversie nel partenariato futuro. Peraltro, per la prima volta in una intesa internazionale, i Ventisette ritengono essenziale il rispetto dell’Accordo di Parigi sul clima. Sono tutti temi ostici, ma secondo molti negoziatori non impossibili da risolvere. Dipende dalla volontà politica, che ieri sembrava essere tornata.