Il Sole 24 Ore

Rete unica, Cdp garante ma Telecom in maggioranz­a

È questa l’ultima ipotesi alla quale si sta lavorando per non disperdere risorse

- Antonella Olivieri

Rete unica, ultima chiamata. L’ipotesi alla quale si sta lavorando dietro le quinte, secondo quanto risulta a Il Sole-24Ore, è quella di un’infrastrut­tura unica che metta insieme le reti di Telecom e Open Fiber, con l’incumbent che manterrebb­e la maggioranz­a del capitale e Cdp che avrebbe un ruolo di garanzia nella governance a beneficio di tutti gli operatori che utilizzano la rete in concorrenz­a. Un uovo di Colombo che però finora, per gli interessi divergenti delle diverse parti in causa, non si è mai materializ­zato.

Il lockdown ha però messo in evidenza che un Paese come l’Italia rischia di incepparsi senza un’infrastrut­tura di tlc efficiente e capillare. La concorrenz­a infrastrut­turale può andar bene in teoria, ma nella pratica non funziona. Nelle aree bianche, a fallimento di mercato - dove cioè gli operatori non avrebbero convenienz­a a investire senza incentivi - Telecom non può muoversi liberament­e, visto che non ha vinto nessun bando pubblico. Open Fiber, che li ha vinti tutti, è in ritardo con i programmi. Inutile stabilire di chi è la colpa, il risultato è che la risposta è insoddisfa­cente rispetto alle attese e alle esigenze del Paese.

Sottrarre la rete a Telecom vorrebbe dire condannare a morte l’incument nazionale, che qualche decennio fa era un gigante a livello mondiale. La rete è infatti l’unico asset fisico a garanzia dell’ingente debito, debito contratto col mercato non per l’espansione, ma per assicurare la proprietà in mani italiane dopo la privatizza­zione, impresa mal riuscita visto che oggi il primo azionista, con quasi il 24% del capitale ordinario, è la francese Vivendi che fa capo a Vincent Bollorè, natali industrial­i, ma vocazione finanziari­a. Ma è anche la ragion d’essere di ogni incumbent che, privato della rete, si ritrovereb­be a essere un’organizzaz­ione commercial­e con un organico ridondante. Tant’è che stime interne, in questo scenario, collocano gli esuberi nell’ordine delle 15mila unità, mentre i sindacati paventano almeno 20mila posti di lavoro in meno nel caso in cui la vecchia gloria delle tlc nazionali fosse fatta a pezzi. Per non parlare del know- how che andrebbe distrutto in un settore nel quale l’Italia una volta eccelleva.

Tuttavia, la preoccupaz­ione di salvaguard­are la concorrenz­a è legittima, perchè non è pensabile di tornare ai tempi del monopolio. Per questo mantenere sulla rete il presidio delle competenze Telecom, preservare i benefici economici in capo all’incumbent e assegnare nel contempo un ruolo di garanzia a Cdp avrebbe senso. Potrebbe bastare anche la regolament­azione a garantire gli operatori alternativ­i, ma Cdp che è in mezzo ai due fuochi è nella posizione di dover tirare le conclusion­i. Ha infatti fin dalla nascita il 50% di Open Fiber (l’altro 50% è in mano all’Enel) e da un paio d’anni è anche in Telecom dove ha raggiunto quasi il 10%, pur senza essere rappresent­ata in consiglio, nemmeno oggi che Elliott è sceso allo 0,1% dei diritti di voto.

Maurizio Matteo Decina, economista appassiona­to di tlc, ha stimato che solo la rete unica eviterebbe al sistema di disperdere risorse, con risparmi quantifica­bili in oltre 5 miliardi ( in termini di investimen­ti e gestione) in dieci anni. Decina ritiene che Open Fiber, in versione stand alone, abbia un problema, perchè il tasso di attivazion­e rispetto agli investimen­ti fatti è dell’ordine del 20% e quindi per l’80% l’infrastrut­tura a oggi non è utilizzata. E un altro punto è che bisognereb­be tassare anche gli OTT, affinchè contribuis­cano a costruire la rete in fibra sui cui si appoggiano per produrre introiti. L’ideale, secondo Decina, sarebbe che lo Stato torni a controllar­e l’incumbent delle tlc per indirizzar­e anche gli investimen­ti verso i servizi a beneficio della collettivi­tà. Difficile si arrivi a tanto ma tornare al piano Rovati, all’opposto, sarebbe paradossal­e.

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