Rete unica, Cdp garante ma Telecom in maggioranza
È questa l’ultima ipotesi alla quale si sta lavorando per non disperdere risorse
Rete unica, ultima chiamata. L’ipotesi alla quale si sta lavorando dietro le quinte, secondo quanto risulta a Il Sole-24Ore, è quella di un’infrastruttura unica che metta insieme le reti di Telecom e Open Fiber, con l’incumbent che manterrebbe la maggioranza del capitale e Cdp che avrebbe un ruolo di garanzia nella governance a beneficio di tutti gli operatori che utilizzano la rete in concorrenza. Un uovo di Colombo che però finora, per gli interessi divergenti delle diverse parti in causa, non si è mai materializzato.
Il lockdown ha però messo in evidenza che un Paese come l’Italia rischia di incepparsi senza un’infrastruttura di tlc efficiente e capillare. La concorrenza infrastrutturale può andar bene in teoria, ma nella pratica non funziona. Nelle aree bianche, a fallimento di mercato - dove cioè gli operatori non avrebbero convenienza a investire senza incentivi - Telecom non può muoversi liberamente, visto che non ha vinto nessun bando pubblico. Open Fiber, che li ha vinti tutti, è in ritardo con i programmi. Inutile stabilire di chi è la colpa, il risultato è che la risposta è insoddisfacente rispetto alle attese e alle esigenze del Paese.
Sottrarre la rete a Telecom vorrebbe dire condannare a morte l’incument nazionale, che qualche decennio fa era un gigante a livello mondiale. La rete è infatti l’unico asset fisico a garanzia dell’ingente debito, debito contratto col mercato non per l’espansione, ma per assicurare la proprietà in mani italiane dopo la privatizzazione, impresa mal riuscita visto che oggi il primo azionista, con quasi il 24% del capitale ordinario, è la francese Vivendi che fa capo a Vincent Bollorè, natali industriali, ma vocazione finanziaria. Ma è anche la ragion d’essere di ogni incumbent che, privato della rete, si ritroverebbe a essere un’organizzazione commerciale con un organico ridondante. Tant’è che stime interne, in questo scenario, collocano gli esuberi nell’ordine delle 15mila unità, mentre i sindacati paventano almeno 20mila posti di lavoro in meno nel caso in cui la vecchia gloria delle tlc nazionali fosse fatta a pezzi. Per non parlare del know- how che andrebbe distrutto in un settore nel quale l’Italia una volta eccelleva.
Tuttavia, la preoccupazione di salvaguardare la concorrenza è legittima, perchè non è pensabile di tornare ai tempi del monopolio. Per questo mantenere sulla rete il presidio delle competenze Telecom, preservare i benefici economici in capo all’incumbent e assegnare nel contempo un ruolo di garanzia a Cdp avrebbe senso. Potrebbe bastare anche la regolamentazione a garantire gli operatori alternativi, ma Cdp che è in mezzo ai due fuochi è nella posizione di dover tirare le conclusioni. Ha infatti fin dalla nascita il 50% di Open Fiber (l’altro 50% è in mano all’Enel) e da un paio d’anni è anche in Telecom dove ha raggiunto quasi il 10%, pur senza essere rappresentata in consiglio, nemmeno oggi che Elliott è sceso allo 0,1% dei diritti di voto.
Maurizio Matteo Decina, economista appassionato di tlc, ha stimato che solo la rete unica eviterebbe al sistema di disperdere risorse, con risparmi quantificabili in oltre 5 miliardi ( in termini di investimenti e gestione) in dieci anni. Decina ritiene che Open Fiber, in versione stand alone, abbia un problema, perchè il tasso di attivazione rispetto agli investimenti fatti è dell’ordine del 20% e quindi per l’80% l’infrastruttura a oggi non è utilizzata. E un altro punto è che bisognerebbe tassare anche gli OTT, affinchè contribuiscano a costruire la rete in fibra sui cui si appoggiano per produrre introiti. L’ideale, secondo Decina, sarebbe che lo Stato torni a controllare l’incumbent delle tlc per indirizzare anche gli investimenti verso i servizi a beneficio della collettività. Difficile si arrivi a tanto ma tornare al piano Rovati, all’opposto, sarebbe paradossale.