Pir alternativi al via, le reti chiedono già di alzare il tetto
La proposta di Doris al forum di Assogestioni raccoglie i primi consensi Galli: «Diventa accessibile l’asset class delle Pmi» Il nodo dell’illiquidità
È un coro unanime di consensi quello per i Pir alternativi: piacciono ai gestori e piacciono alle reti. Tutti sono convinti che l’investimento nell’economia reale sia l’occasione per rilanciare il Paese e per offrire agli imprenditori l’alternativa al canale bancario. Questa è l’opinione emersa dal convegno organizzato da Assogestioni su investimenti illiquidi e Pir alternativi, che permettono di investire su un segmento di mercato finora inesplorato, vale a dire quello delle Pmi non quotate, dei crediti e dei prestiti emessi da imprese radicate nel nostro Paese.
«Sono orgoglioso di accompagnare l’arrivo dei Pir alternativi - ha affermato Fabio Galli, dg di Assogestioni -. Ci abbiamo sempre creduto e siamo convinti che il risparmio gestito sia il motore centrale dell’economia». Come i fondi comuni negli anni ’90 aprirono la strada degli investimenti internazionali, ha sottolineato Galli, oggi i Pir, aprono le porte a un’asset class che non è mai stata accessibile.
«Si tratta di investimenti qualificati per creare un incentivo strutturale che indirizzi il risparmio verso l’economia reale - ha detto Stefano Scalera, vice capo gabinetto del ministero dell’Economia -. L’obiettivo è rilanciare gli investimenti e mettere il risparmio privato nel paese che produce. Come i Pir ordinari possono essere strutturati come contratto di assicurazione, deposito amministrato, fondo di private equity o Eltif, l’unica condizione è che il piano sia composto da investimenti qualificati. È comunque mia convinzione che per questi Pir la scelta naturale sia fondi chiusi o Eltif». Scalera ha sottolineato anche che sono prodotti con un margine di rischio più alto e che vanno inseriti nell’ambito di un’allocazione complessiva del portafoglio.
Andrea Ghidoni, ad di Pramerica Sgr ha definito i pir alternativi un ottimo esempio di iniziative concrete per settore produttivo. «Faranno confluire concretamente il risparmio nell’economia reale - ha affermato - e supporteranno le aziende nei processi di crescita. Il target sono le Pmi non quotate, che dipendono dal canale di finanziamento bancario e non hanno accesso al mercato dei capitali, e rappresentano in Italia più del 90% delle imprese e l’82% dei lavoratori. Occorre dare un’informativa costante agli investitori perché questi fondi avranno una concentrazione che può arrivare fino 20% per singolo emittente e quindi i portafogli saranno composti da 7 a 12 investimenti. Bisognerà dare nel continuo agli investitori la possibilità di conoscere la composizione del portafoglio e l’andamento dei singoli investimenti». Ghidoni ha evidenziato inoltre come la riforma ridurrà il gap dell’Italia rispetto a Francia e Regno Unito dove gli asset illiquidi sulla ricchezza media pesano molto di più (1,2% per la Francia, 4% per Uk e solo 0,25% per l’Italia)
I gestori sono concordi nell’affermare che l’agevolazione fiscale non debba essere l’unica variabile per determinare la scelta di investire su questi strumenti. «L’investimento illiquido - ha affermato Ugo Loser, ad di Arca Sgr - paga un premio per illiquidità e se non c’è la necessità di disporre dei capitali nel breve, si avrà un beneficio inconfutabile in termini di rendimento. Inoltre l’apertura delle aziende al mercato dei capitali implica una loro maggiore redditività grazie a più efficienza, innovazione e responsabilità sociale». Loser punta il dito sulla necessità di crescita del nostro paese, fermo da 20anni, ma per farlo ha bisogno di aziende che crescano. E per questo serve continuità. «La prima norma sui Pir ha portato 15 miliardi di raccolta e 19 di patrimonio - ha aggiunto Alessandro Melzi D’Eril, ad di Anima Sgr-. C’è stato un effetto benefico sulle quotazioni ed è stata un’opportunità per imprenditore e investitore. Ora l’importante è evitare gli stop e go. Queste sono norme che modificano la struttura del sistema finanziario e richiedono tempo. Offrire strumenti che facilitano accesso al mercato è un beneficio per tutti, ma richiede governance più sofisticate».
Ma i Pir alternativi vanno maneggiati con cura. «È necessario conoscere bene le pmi in cui si investe - avverte Saverio Perissinotto, ad di Eurizon - e serve anche molta pazienza. Il Pir aiuta ad allungare orizzonte di investimento del cliente ma bisogna fare attenzione perchè non esistono pasti gratis. Non è un viaggio semplice e noi operatori dobbiamo comunicare bene di che investimenti si tratta e invitare a seguire i principi della diversificazione. Va inoltre rafforzato il servizio post vendita».
Anche le reti credono molto nei Pir e vorrebbero aumentare la soglia da investire da 30 a 60mila euro per i Pir ordinari e da 150 a 300mila per gli alternativi. La proposta è di Massimo Doris, ad di Banca Mediolanum e la trova interessante anche Tommaso Corcos, ad Fideuram , convinto che un aumento del tax credit permetta ai Pir di raggiungere numeri rilevanti. «Siamo stati tra i primi a credere nei Pir 1.0 - ha detto Doris - e chi è uscito ha sbagliato. Sono strumenti che vanno valutati nel lunghissimo termine e ora è il momento di investirci. Crediamo anche nei Pir alternativi, che non sono adatti a tutti e si affiancano agli altri che rimangono fondamentali». «La creazione dei Pir alternativi - ha concluso Corcos - è uno sviluppo di sistema particolarmente rilevante che va a finanziare quel segmento di mercato delle pmi che era stato solo parzialmente seguito con i Pir tradizionali».