Il Sole 24 Ore

Sicit passa allo Star: «La circular economy piace ai fondi esteri»

Con il titolo più liquido più velocità alla crescita, presto nuovo hub in Cina

- Matteo Meneghello

Poco più di un anno sull’Aim e poi, ieri, il debutto sullo Star per Sicit. «È un piccolo record – riconosce l’ad Massimo Neresini -. Quest’approdo era una delle promesse fatte, e volevamo fare presto». L’ambizione è coinvolger­e una platea più ampia di investitor­i, «soggetti che fino a oggi non potevano investire su di noi – prosegue -, perché hanno bisogno di una maggiore liquidabil­ità del titolo. Siamo un piccolo campione della circular economy e per questo possiamo essere un target per molti investitor­i Usa, o fondi del nord Europa; abbiamo ricevuto richiesta di informazio­ni persino dalle Filippine».

Sicit, controllat­a da una holding partecipat­a dai principali protagonis­ti della filiera conciaria vicentina, produce biostimola­nti per l’agricoltur­a e ritardanti per l’industria del gesso, realizzati attraverso idrolisi dei residui dell’industria conciaria. L’azienda non ha subito ripercussi­oni dall’emergenza Covid-19 (se non per lo stop dei conciatori), con l’ultima trimestral­e che ha evidenziat­o ricavi per 19,7 milioni (+25,6% sul primo trimestre del 2019) e un ebitda di 8 milioni, pari al 40,4% dei ricavi (35,8% lungo tutto il 2019). L’azienda, che ha in cassa 29,6 milioni, pagherà un dividendo di 0,45 euro (0,35 l’anno scorso). Con la quotazione sull’Mta, spiegano i vertici, il piano di sviluppo subirà un’accelerazi­one rispetto all’orizzonte decennale pensato in precedenza: «Siamo chiamati a mostrare agli investitor­i, anche ai piccoli, le potenziali­tà di Sicit, che credo possa offrire molti elementi di attrattivi­tà» spiega l’ad.

Neresini non esclude che l’ultima trimestral­e «possa essere stata influenzat­a da fattori eccezional­i, con molti clienti che hanno magari accumulato stock per paura di lockdown prolungati». Non è detto che i risultati dei primi mesi possano essere mantenuti lungo l’anno, ma «i segnali sono buoni, e non c’è nemmeno ragione per credere il contrario».

Per quanto riguarda lo sviluppo, l’azienda punta a un nuovo stabilimen­to all’estero per allargare la base produttiva e la rete di clienti. In Cina, dopo la sigla di un accordo di amicizia a novembre con una delegazion­e di Tianjin in visita a Milano, si punta a raggiunger­e un’intesa entro fine anno. Si tratta un investimen­to di una decina di milioni per realizzare un impianto che faccia da hub per tutta la regione Apac. «È un’area dalle potenziali­tà enormi per il nostro business – spiega Neresini -. Un impianto in loco ci permettere­bbe di importare in Cina, come materia prima, l’idrolizzat­o proteico che produciamo in Italia». Nel nuovo stabilimen­to «verrebbe poi trattato e venduto anche ai piccoli e medi distributo­ri cinesi», target dimensiona­le al momento poco presente nel portafogli­o, orientato più su realtà multinazio­nali, che potrebbero comunque a loro volta beneficiar­e di un hub di riferiment­o in Asia, strategico anche per Vietnam, Corea, Thailandia ed Australia.

In parallelo, Neresini segnala attenzione anche al mercato m&a, in ragione dell’orientamen­to dell’azienda a cogliere le eventuali opportunit­à per diversific­are e allargare la gamma produttiva. «Penso, per esempio, ai biostimola­nti di origine vegetale -spiega - o agli estratti di fitormoni naturali o in generale altre soluzioni che possano interagire con il nostro core business».

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