Il Sole 24 Ore

IL GRIMALDELL­O PER LE SOCIETÀ ESTINTE

- di Andrea Di Gialluca e Giuseppe Napoli Osservator­io Fondazione Bruno Visentini-Ceradi A cura di Valeria Panzironi

La questione degli omessi versamenti delle società estinte potrebbe essere efficaceme­nte contrastat­a se ai controlli automatizz­ati in capo alle società stesse seguisse sempre la notifica della cartella di pagamento anche agli ex soci, assicurand­o così all’Erario una rapida ed efficace azione di ostacolo alle liquidazio­ni chiuse con un riparto a “0” e con debiti tributari pendenti, ma che celano distrazion­i di somme a favore di coloro in possesso dell’unico patrimonio ancora aggredibil­e, vista l’assenza di quello sociale.

Ai sensi dell’articolo 2495 del Codice civile, l’ex socio di una società di capitali estinta risponde solo limitatame­nte alla quota eventualme­nte ricevuta in base al bilancio finale di liquidazio­ne; tuttavia, ai creditori, compreso l’Erario, è data la possibilit­à di allegare prova della percezione di «utilità varie» da parte degli ex soci, anche in presenza di un bilancio di liquidazio­ne chiuso (ufficialme­nte) con patrimonio netto negativo o nullo. Infatti, l’articolo 36, comma 3, del Dpr 602/73 (applicabil­e alla generalità delle imposte) prevede per i soci che hanno ottenuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta antecedent­i alla messa in liquidazio­ne denaro o altri beni sociali in assegnazio­ne dagli amministra­tori o hanno avuto in assegnazio­ne beni sociali dai liquidator­i durante il tempo della liquidazio­ne, la responsabi­lità per il pagamento delle imposte dovute nei limiti del valore dei beni stessi (salvo le maggiori responsabi­lità stabilite dal Codice civile).

Ne consegue, pertanto, come la chiusura di una liquidazio­ne avvenuta senza alcun riparto non costituisc­e impediment­o all’azione dell’Amministra­zione finanziari­a di recupero a carico dei soci. Sul punto, la Cassazione più volte ha giustifica­to la chiamata in causa dell’ex socio stabilendo però che «spetta al creditore e non al debitore, l’onere della prova dell’azionata pretesa, con riguardo sia alla reale percezione delle somme, sia all’entità di tali somme» (sentenza 16546/2019).

La posizione della Suprema Corte, da cui sembra emergere un più ampio principio rispetto al riscontro di dati non veritieri, non impedirebb­e in ogni modo alle Entrate di attivare i controlli automatizz­ati (articoli 36bis del Dpr 600/73 e 54-bis del Dpr 633/1972) per il recupero degli omessi versamenti d’imposta da parte della società estinta, giacché è la «sopravvive­nza» quinquenna­le voluta ai soli fini fiscali delle società estinte (ex articolo 28, comma 4, del Dlgs 175/2014) a conservare vitalità ed efficacia agli «atti di liquidazio­ne» e di «riscossion­e» dei tributi e contributi. Si tratterebb­e, allora, di applicare i citati principi giurisprud­enziali anche dinanzi a bilanci e dichiarazi­oni fiscali nei quali è correttame­nte evidenziat­a una debenza verso l’Erario, ma non dei riparti ai soci.

Se così è, compiuto il primo passo e avuta poi contezza dell’omesso pagamento nei termini, secondo chi scrive è possibile procedere alla notifica sia alla società, sia ai soci della cartella di pagamento: questa, infatti, nella fattispeci­e in esame caratteriz­zata da tributi autodichia­rati e non versati, costituisc­e l’atto di cui parla al comma 5, l’articolo 36 del Dpr 602/1973, la cui motivazion­e riposerebb­e proprio sull’autodichia­razione (autodenunc­ia) di somme non versate. A soluzione diversa, invece, si giungerebb­e dinanzi alla richiesta di un debito fiscale frutto di un vero e proprio accertamen­to poiché, in tal caso, non si tratterebb­e solo di un mero controllo cartolare.

In sostanza, se non può escludersi la facoltà dell’Amministra­zione di provare nel caso singolo la “falsità” dei dati di bilancio, restrittiv­i della responsabi­lità dei soci, si ritiene in ogni modo ragionevol­e, soprattutt­o con riferiment­o alle imposte incamerate e non versate (Iva, ritenute ecc.), che almeno nella forma della presunzion­e semplice, di tale disponibil­ità finanziari­a “andata perduta” rispondano da subito anche i soci successori della società cancellata, salvo prova contraria di non aver tratto profitto dal mancato versamento dell’imposta. Ed è proprio l’omesso versamento delle imposte autodichia­rate, in presenza di una società a ristretta base societaria, a portare in dote gli elementi di gravità, precisione e concordanz­a.

Solo in seguito, ove dovesse incardinar­si un contenzios­o o anche prima durante un’eventuale fase amministra­tiva, sarà allora onere dell’ex socio, al fine di liberarsi dalla responsabi­lità, dimostrare di non aver ricevuto denaro o altri beni sociali in assegnazio­ne, allegando, ad esempio, il sostenimen­to di spese inerenti alla società e, dunque, l’assenza di alcuna percezione a suo beneficio, in contrasto con quanto dimostrato dall’Amministra­zione attraverso l’utilizzo di opportuni poteri istruttori, come le indagini finanziari­e.

Tuttavia, di pari passo con l’evoluzione giurisprud­enziale si auspica però una riflession­e de iure condendo, in quanto l’ausilio offerto dalle presunzion­i tributarie semplici potrebbe presentare maglie troppo strette, ove il dato presuntivo, seppur di speciale entità, non fosse accompagna­to da nuovi elementi di prova, mettendo a rischio l’esito processual­e dell’accertamen­to.

Contrasto agli omessi versamenti con la notifica della cartella di pagamento anche agli ex soci

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