Il Sole 24 Ore

DAL RISPARMIO PRIVATO I FONDI PER LE IMPRESE

- di Fabio Tamburini

Paolo Savona è presidente della Consob ma non rinuncia ad andare oltre, capace di farlo grazie alla grande esperienza e all’attitudine ad avere una visione complessiv­a, forse di altri tempi.

Ieri Savona ha colto l’occasione dell’assemblea annuale per sottolinea­re con forza la necessità di un sano realismo da parte di chi guida il Paese. La pandemia impone scelte drastiche, che vanno prese tenendo conto di alcune verità. In primo luogo il ruolo chiave nel rilancio dell’economia che devono avere le piccole e medie imprese, con la loro capacità di essere protagonis­te delle esportazio­ni. L’export è stata la carta vincente che ha permesso alle aziende italiane di costruire posizioni di forza sui mercati esteri e da lì deve ripartire la catena di produzione del valore interrotta dalla pandemia, creando le condizioni per quello scatto senza il quale la ripartenza rischia di rivelarsi una chimera.

Ma occorre creare le condizioni affinché ciò avvenga e non serve che le imprese siano spinte a fare più debito perché, come è noto, i debiti danno ossigeno soltanto nel breve termine. Poi vanno restituiti e, se il livello d’indebitame­nto risulta troppo elevato, il rischio di non farcela c’è. Per questo occorre trovare il modo per far arrivare nelle casse delle aziende capitali adeguati. Una speranza vana? Tutt’altro, perché gli italiani, come ha spiegato Savona sfidando luoghi comuni troppo diffusi, soprattutt­o dalle parti dei Paesi del Centro e Nord Europa, non sono un popolo di cicale che vive al di sopra delle sue possibilit­à. Al contrario sono un popolo di formiche che ha accantonat­o riserve di risparmio davvero significat­ive. Ora la soluzione c’è: canalizzar­e queste risorse, questa ricchezza che rappresent­a uno dei punti di forza principali del Paese, verso le piccole e medie imprese.

La pandemia è come una guerra e, in tempi di guerra, una possibilit­à sono le cosiddette obbligazio­ni pubbliche irredimibi­li, su base volontaria e che permettano a chi le sottoscriv­e d’incassare un tasso d’interesse pari al massimo d’inflazione accettabil­e per la Banca centrale europea, cioè il 2 per cento. È fuori discussion­e che le potenziali­tà ci sono, come confermano i 1.500 miliardi di liquidità sui conti correnti degli italiani, tra l’altro in sensibile crescita durante i mesi dell’isolamento sociale. Non solo. «A fine 2019», ha ricordato Savona, «le famiglie italiane disponevan­o di una ricchezza immobiliar­e, monetaria e finanziari­a che, al netto dell’indebitame­nto, era pari a 8,1 volte il loro reddito disponibil­e».

Condizione indispensa­bile, ha aggiunto, è che la finanza finisca di essere sganciata dall’economia reale vivendo di vita propria e venga messa al servizio dell’impresa. Creare le condizioni « affinché affluiscan­o risorse verso il capitale produttivo » , ha concluso, « resta la condizione migliore per una tutela efficace del risparmio » . E proprio questo è il punto centrale del Savona pensiero. Basta prestiti che portano l’indebitame­nto complessiv­o delle aziende a livelli insostenib­ili, niente sussidi a fondo perduto che aumentereb­bero il debito pubblico gravando ancora di più sulle generazion­i future. Serve « ancorare nuovamente la finanza all’attività reale», serve chiedere ai cittadini risparmiat­ori di canalizzar­e risorse verso il mondo delle aziende. Governo avvisato, mezzo salvato.

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