DAL RISPARMIO PRIVATO I FONDI PER LE IMPRESE
Paolo Savona è presidente della Consob ma non rinuncia ad andare oltre, capace di farlo grazie alla grande esperienza e all’attitudine ad avere una visione complessiva, forse di altri tempi.
Ieri Savona ha colto l’occasione dell’assemblea annuale per sottolineare con forza la necessità di un sano realismo da parte di chi guida il Paese. La pandemia impone scelte drastiche, che vanno prese tenendo conto di alcune verità. In primo luogo il ruolo chiave nel rilancio dell’economia che devono avere le piccole e medie imprese, con la loro capacità di essere protagoniste delle esportazioni. L’export è stata la carta vincente che ha permesso alle aziende italiane di costruire posizioni di forza sui mercati esteri e da lì deve ripartire la catena di produzione del valore interrotta dalla pandemia, creando le condizioni per quello scatto senza il quale la ripartenza rischia di rivelarsi una chimera.
Ma occorre creare le condizioni affinché ciò avvenga e non serve che le imprese siano spinte a fare più debito perché, come è noto, i debiti danno ossigeno soltanto nel breve termine. Poi vanno restituiti e, se il livello d’indebitamento risulta troppo elevato, il rischio di non farcela c’è. Per questo occorre trovare il modo per far arrivare nelle casse delle aziende capitali adeguati. Una speranza vana? Tutt’altro, perché gli italiani, come ha spiegato Savona sfidando luoghi comuni troppo diffusi, soprattutto dalle parti dei Paesi del Centro e Nord Europa, non sono un popolo di cicale che vive al di sopra delle sue possibilità. Al contrario sono un popolo di formiche che ha accantonato riserve di risparmio davvero significative. Ora la soluzione c’è: canalizzare queste risorse, questa ricchezza che rappresenta uno dei punti di forza principali del Paese, verso le piccole e medie imprese.
La pandemia è come una guerra e, in tempi di guerra, una possibilità sono le cosiddette obbligazioni pubbliche irredimibili, su base volontaria e che permettano a chi le sottoscrive d’incassare un tasso d’interesse pari al massimo d’inflazione accettabile per la Banca centrale europea, cioè il 2 per cento. È fuori discussione che le potenzialità ci sono, come confermano i 1.500 miliardi di liquidità sui conti correnti degli italiani, tra l’altro in sensibile crescita durante i mesi dell’isolamento sociale. Non solo. «A fine 2019», ha ricordato Savona, «le famiglie italiane disponevano di una ricchezza immobiliare, monetaria e finanziaria che, al netto dell’indebitamento, era pari a 8,1 volte il loro reddito disponibile».
Condizione indispensabile, ha aggiunto, è che la finanza finisca di essere sganciata dall’economia reale vivendo di vita propria e venga messa al servizio dell’impresa. Creare le condizioni « affinché affluiscano risorse verso il capitale produttivo » , ha concluso, « resta la condizione migliore per una tutela efficace del risparmio » . E proprio questo è il punto centrale del Savona pensiero. Basta prestiti che portano l’indebitamento complessivo delle aziende a livelli insostenibili, niente sussidi a fondo perduto che aumenterebbero il debito pubblico gravando ancora di più sulle generazioni future. Serve « ancorare nuovamente la finanza all’attività reale», serve chiedere ai cittadini risparmiatori di canalizzare risorse verso il mondo delle aziende. Governo avvisato, mezzo salvato.