La spinta green delle raffinerie europee
La normativa sulle emissioni non guarda alla qualità ambientale del carburante
Le raffinerie europee dicono: la normativa sulle emissioni si ferma al tubo di scappamento dell’auto e non guarda la qualità ambientale del carburante. E questo frena chi vuole investire in carburanti puliti che potrebbero dare un contributo immediato all’ambiente e a basso costo in attesa che l’auto elettrica sia una tecnologia disponibile per tutti. È questo uno dei temi di un documento pubblicato in questi giorni da Fuels Europe, l’associazione delle 40 compagnie petrolifere del “downstream”, cioè la filiera industriale che, escludendo i giacimenti, va dalle raffinerie fino al serbatoio dell’auto. Ma la scelta di investire è presa. È il caso delle bioraffinerie di Gela e di Venezia Marghera, che l’Eni alimenta non più con petrolio bensì con olio di palma ma fra tre anni questa materia prima sarà sostituita da altre alimentazioni a minore impatto. Oppure in Austria una raffineria estrae carburanti partendo dai rifiuti plastici. La Exxon Mobil guarda alle alghe.
Carburanti senza petrolio
Conferma da Bruxelles il direttore della Fuels Europe, l’italiano Alessandro Bartelloni, che fra gli obiettivi dei raffinatori è arrivare ai carburanti bio e di sintesi che riciclano la CO2 dell’aria, invece di aggiungervi il carbonio estratto dai giacimenti sepolti nel sottosuolo.
«Ci sono già le tecnologie per ricostruire per sintesi gli idrocarburi partendo da idrogeno pulito e da carbonio estratto dall’aria. L’obiettivo è offrire al consumatore europeo la possibilità di scegliere in che modo aiutare l’ambiente senza interrompere la sua libertà di muoversi e a un costo sostenibile. In attesa che le auto elettriche arrivino per tutti, intanto possiamo subito ridurre le emissioni di CO2. E questi carburanti serviranno comunque per aerei, navi e camion » .
Ma secondo Bartelloni le tecnologie dei carburanti puliti sono frenate dalla legislazione europea. Esistono già le tecnologie per estrarre le materie prime dall’aria, dall’acqua, dai rifiuti, dalle biomasse, dal ricino con cui sintetizzare combustibili che non aggiungono CO2 all’atmosfera.
Il tubo di scappamento
« Purtroppo la scala dimensionale è ancora limitata perché la tecnologia è giovane ma soprattutto perché non ci sono le condizioni legislative che diano all’investitore un ritorno sull’investimento » , aggiunge Bartelloni.
Un impianto per produrre su scala industriale un idrocarburo sintetico da fonti non fossili può costare un miliardo.
«Servono un mercato e una legislazione che riconoscano il beneficio di questi carburanti. Nella legislazione europea per le auto e i camion viene definito lo standard di grammi di CO2 per chilometro percorso. Questa emissione è indipendente dal tipo di alimentazione: se vengono rifornite con alcol o con un altro carburante non petrolifero, queste auto emettono CO2 a impatto zero perché non è anidride carbonica aggiuntiva estratta dal sottosuolo ma la stessa CO2 che era stata assorbita dall’atmosfera dalle piante che ho usato per produrre l’alcol. Invece oggi l’impegno è tutto mirato sul produttore di auto, sul tubo di scappamento, e non c’è alcun incentivo affinché il produttore di carburanti investa per ridurre la CO2», aggiunge il direttore di Fuels Europe.
La scelta dei consumatori
La strada comunque è segnata, come hanno dimostrato gli impegni e la ricerca di molte compagnie. È anche una scelta resa prevedibile dal fatto che la domanda petrolifera si sta riducendo e le raffinerie si affacciano davanti a un eccesso di capacità di produzione e di raffinazione che non s’era mai visto prima.
Conclude Bartelloni: « Se è disponibile un carburante liquido a bassa emissione, lo si può sostituire subito sull’infrastruttura che esiste già e sui mezzi che ci sono già. Tubazioni, serbatoi, benzinai, automobili: è sufficiente solo cambiare quello che scorre dentro per avere un beneficio ambientale immediato». In attesa che l’auto elettrica sia disponibile per tutti.