Ex Ilva, i 1.300 operai di Cornigliano: «Non faremo i fattorini per Amazon»
Le storiche acciaierie liguri nella partita decisiva per un difficile rilancio Bruno Manganaro (Fiom): «Vogliamo difendere l’industria e il lavoro»
« Di una cosa siamo sicuri, non diventeremo terra di conquista delle nuove Amazon. Vogliamo difendere l’industria e il nostro lavoro». La strategia di Bruno Manganaro, segretario generale della Fiom di Genova è fin troppo chiara. Confronto sindacale serrato, anche duro, e non arretrare di un centimetro su diritti e retribuzioni. «Qui ci si sono stati i primi scioperi per la sicurezza nella riapertura del dopo Covid- 19 e subito dopo abbiamo bloccato la fabbrica contro la strategia di Mittal che dopo la pandemia intendeva rivedere i patti e minacciava la serrata » .
Troppa storia industriale, troppa storia sindacale è passata da qui. La acciaierie di Cornigliano non sono un posto come un altro. Meccanica, locomotive, industria bellica, aeronautica. La rivoluzione dell’Italia da Paese agricolo è iniziata da queste parti a metà dell’ 800. Poi le guerre, la resistenza con tanti operai tra le fila partigiane. L’Iri di Mussolini e il boom economico fino a Guido Rossa e alla deindustralizzazione. Tutto questo non è solo il passato, ma è rimasto nelle cose come la fuliggine nera sui palazzi eleganti del Ponente di Genova. Appena dietro quel che rimane delle grandi fabbriche e dei cantieri navali, da Sampierdarena fino a Sestri e Voltri.
E dopo le storiche insegne di Ansaldo, Italsider e Ilva, la grande scritta sul capannone tra la strada e il mare adesso è quella di Arcelor Mittal. Certo questa non è Taranto, l’altoforno non c’è più. La cockeria è stata chiusa nel 2002, mentre l’ultima colata a caldo è del 2005. Verso Genova ora c’è il centro commerciale della Fiumara, dietro in Val Polcevera, l’Ikea e presto Amazon con il nuovo ponte quasi terminato a far da cornice. Restano verso ovest i cantieri di Sestri, l’aeroporto e il grande hub per la ricerca di Leonardo.
I dipendenti della sponda genovese dell’ex Ilva sono in tutto quasi 1300 ( 1001 diretti, 260 in amministrazione straordinaria), in quello che oggi è un fortino della manifattura assediato dagli interessi della logistica e dell’immobiliare. E lo sanno bene in via San Giovanni d’Acri, la palazzina dove sventolano le bandiere della Cgil, con decine di lavoratori in coda ai Caf accanto al monumento di Guido Rossa in tenuta da alpinismo, la sua grande passione.
Sì perché qui quello del sindacalista ucciso dalle Brigate Rosse 41 anni fa non sembra essere solo un ricordo. A lui è intitolata la Società di mutuo soccorso dei lavoratori che raccoglie fondi per integrare i redditi e la cassa integrazione scattata in questi mesi. Lo fa anche in città e attraverso i circoli marxisti operai che si fanno collettori delle offerte. Parole e terminologia che sembrano obsolete ma che nel Ponente non lo sono mai state. Tanto meno in questo periodo. E significano solidarietà per le famiglie monoreddito dei lavoratori Arcelor Mittal e per i loro figli.
Paolo Terlizzi della Sms Guido Rossa ricorda con orgoglio come: « la Società di mutuo soccorso ha già aiutato circa un centinaio di lavoratori con famiglie monoreddito, un’integrazione fino a 450 euro per buste paga in Cassa Covid, che con la decurtazione raggiungono a malapena 750 euro al mese » . Anche questo è il fortino dell’acciaio di Cornigliano che si difende.
L’ultima sfida è stata quella sul reparto latta, che produce 130.000 tonnellate rispetto al fabbisogno italiano di 800.000 tonnellate circa. Un’opportunità generata dal rilancio dell’industria alimentare di questi ultimi mesi con il mercato destinato sicuramente a crescere. « Dopo nove giorni di sciopero abbiamo trovato l’accordo – dice Manganaro – e l’azienda sa che gli accordi noi li rispettiamo». Un modo di fare sindacato che e rimasto un’eccezione all’interno di tutta l’ex Ilva, soprattutto rispetto a Taranto. « Non ho mai visto scioperi all’interno della fabbrica pugliese, soltanto fuori. I fornitori bloccano i cancelli se non vengono pagati. L’esistenza del lavoro per noi è vita e orgoglio – rivendica il leader Fiom - in Puglia sembra essere diventato un peso. In pochi credono ancora nel rilancio. Sembra vincere il partito della chiusura » .
Dalla palazzina di via San Giovanni d’Acri la questione sindacale non appare per nulla secondaria rispetto al futuro. E l’accusa è chiara. Si punta il dito contro la mancanza di strategia e di dialettica con Mittal da parte delle rappresentanze dei lavoratori di Taranto. « Governare quella fabbrica immensa solo con i giudici e i Carabinieri diventa impossibile anche per la più grande multinazionale dell’acciaio. E senza politica e senza sindacati diventa irrealizzabile » . Un’autocritica non banale al sistema sindacale. Dopo anni di battaglie comuni, è come se Genova guardasse con distacco il tira e molla romano sul futuro dell’azienda. Anche se « sarebbe un impoverimento per l’Italia l’addio alla lavorazione a caldo – conclude il segretario Fiom -. Francia e Spagna avrebbero il ciclo integrato mentre la nostra economia no. Un prezzo da pagare troppo alto » .
Intanto però nel fortino di Cornigliano i sacchetti di sabbia Manganaro continua a portarceli. Qui le garanzie le hanno ottenute da tempo e sono pronti a difenderle con tutti i mezzi. Il milione e rotti delle aree su cui sorge l’acciaieria è vincolato, dunque la proprietà non può in alcun modo disporne per una eventuale vendita o cambio di destinazione d’uso. Non solo, l’Accordo di programma del 2005 prevede che in caso di nuova proprietà, pubblica o privata, o in caso di sospensione della produzione, si debbano comunque garantire le retribuzioni e il loro livello. Una vera e propria assicurazione sulla vita che al momento protegge le acciaierie ex Ilva di Genova da un futuro destino di deindustrializzazione. Perché Pacta servanda sunt, come recita lo striscione in fabbrica.