LA UE ALLA PROVA SU RISORSE PROPRIE E FISCO
La progressiva regressione della pandemia sposta l’attenzione di tutti sulla “nuova normalità”. Quella post-Covid. Che riguarda anche la fiscalità. In tal senso una spinta in avanti viene dall’Unione europea. È, infatti, di pochi giorni fa la proposta della Commissione europea di finanziare il Recovery Fund ( Next generation Eu) con alcuni prelievi fiscali in larga parte già inclusi nella proposta di modifica delle risorse proprie dell’Unione per il periodo 2021-2028.
Nell’elenco primeggiano i tributi ambientali. È una proposta che non sorprende per svariate ragioni. L’Unione vanta una notevole sensibilità per la materia ambientale che spazia dalle direttive sulla tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità al sistema di scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra ( Emission trading system). Ma anche al progetto Green deal annunciato il dicembre scorso che si propone l’obiettivo ambizioso di azzerare le emissioni entro il 2050 cui ha fatto seguito la proposta di istituzione di un prelievo compensativo ( carbon tax) volto a colpire le importazioni inquinanti.
La proposta di ampliamento delle risorse proprie dell’Unione non si ferma qui e coerentemente contempla altri prelievi ambientali quali la plastic tax (già introdotta in Italia per il 2020 e poi differita al 2021) e un prelievo sui proventi o sul valore normale dello scambio di quote di emissione di anidride carbonica nell’ambito degli Ets.
Un’iniziativa europea in materia fiscale (ambientale) potrebbe anche essere gradita dai governi nazionali che paiono troppo fragili per sopportare al loro interno la responsabilità politica dell’introduzione di nuovi tributi. La forma del prelievo (tributo ambientale) sarebbe poi meno impopolare rispetto a imposizioni su redditi e patrimoni e più facilmente percepita come un sacrificio oggi per un’economia sostenibile domani.
In questo contesto, una prima questione che si pone è di come coerenziare i nuovi tributi proposti dalla Commissione Ue con le misure emergenziali statali che hanno da pochi giorni sgravato le imprese quasi ovunque in Europa riconoscendo svariate forme di incentivo e sostegno anche fiscale. È un circolo vizioso e cioè un dare e riprendere in un breve intervallo temporale? Probabilmente no, nella misura in cui non vi sia identità nei due flussi e cioè se i soggetti che saranno colpiti dai nuovi tributi ambientali non saranno necessariamente quelli che hanno beneficiato dei provvedimenti anti-Covid. Le sovrapposizioni comunque ci sono (si pensi ad alcuni settori labour intensive) e ciò potrebbe suggerire un differimento seppure parziale delle nuove misure o una loro introduzione graduale per consentire una ripresa dell’economia.
Vi è poi da domandarsi quanto la proposta europea di rimodulazione delle risorse proprie possa realisticamente avere un esito totalmente positivo.
Si è detto che i tributi ambientali in parte graverebbero su comparti economici colpiti duramente dalla pandemia e che ciò potrebbe suggerire una loro introduzione graduale con ricadute quindi sul gettito atteso. Le altre misure proposte ( digital tax e imposta sulle società europea) lasciano perplessi sia per il gettito esiguo (per la digital tax poco sopra il miliardo di euro) sia per la difficoltà a raccogliere la unanimità dei consensi necessaria per la loro approvazione ancorché Francia e Germania abbiano pubblicamente espresso il loro consenso nella proposta congiunta di creazione del Recovery Fund. L’imposta sulle società ad esempio è stata proposta qualche anno fa ed è poi naufragata proprio per questo motivo (nelle consultazioni previste dal trattato di Lisbona è stata bocciata dai Parlamenti di ben 7 Stati membri: Danimarca, Malta, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia).
L’ipotesi di un’imposta sui servizi digitali formulata sempre dalla Commissione nel 2018 si è anch’essa arenata per il dissenso di alcuni Stati. Peraltro, il dibattito sulla tassazione dei servizi digitali ha assunto nel tempo una portata assai più ampia e adesso riguarda anche la tassazione di tutti i comparti economici che hanno una forte penetrazione nel mercato locale del consumatore finale ( consumer facing businesses) giustificando una ripartizione del reddito e della tassazione più sbilanciata verso i mercati di sbocco. L’Ocse sta lavorando alacremente a un’intesa globale e pertanto una accelerazione dell’Unione europea sullo stesso tema sarebbe per lo meno azzardata.
Conclusivamente, fatta eccezione per i prelievi ambientali che si collocano in un programma irreversibile e a lungo termine di grande valore anche ideale e di coesione dell’Unione, le altre forme di risorse proprie proposte dalla Commissione incontreranno probabilmente difficoltà di approvazione e saranno in ogni caso gli Stati membri a doversi muovere e adottare misure fiscali adeguate a sostenere la ripresa. Sempre che non si consideri una cooperazione fiscale rafforzata limitata ad alcuni Stati membri ad esclusione di quelli (“frugali”) contrari alle massicce politiche di sostegno proposte dalla Commissione Ue.