La provocazione di Pyongyang: distrutto l’ufficio inter-coreano
Il regime fa esplodere la rappresentanza congiunta Era il simbolo del dialogo Seul condanna e avvisa: «Atto insensato che cancella le speranze di pace»
L’Ufficio di collegamento inter-coreano era di fatto un’ambasciata che garantiva agli emissari dei due Paesi un canale di comunicazione costante e personale, dopo decenni di tensioni seguiti alla guerra del 1950- 53. Costruito nel 2018 con fondi sudcoreani (si stima 15 milioni di dollari) nella città di confine di Kaesong, l’ufficio era anche un simbolo: il luogo fisico del tentativo di riconciliazione delle due Coree, nel quale il dittatore Kim Jong- un era riuscito a coinvolgere il presidente Usa, Donald Trump. Ieri, Kim lo ha fatto saltare in aria.
Un video di sorveglianza in bianco e nero, rilasciato dal ministero della Difesa della Corea del Sud, mostra una grande esplosione che abbatte l’edificio di quattro piani. L’esplosione causa anche il crollo parziale di un vicino grattacielo di 15 piani, che serviva da struttura residenziale per i funzionari sudcoreani.
Seul ha condannato «l’atto insensato e senza precedenti, che distrugge le speranza di pace nella penisola» e ha fatto sapere di essere pronta a rispondere con fermezza, se Pyongyang andrà avanti con le sue provocazioni, senza però indicare volontà di ritorsione immediata. Il presidente Moon Jae- in ha dedicato gran parte della sua presidenza a cercare di migliorare i rapporti con l’erratico vicino.
Gli Stati Uniti, per ora, si limitano a invitare la Corea del Nord ad «astenersi da ulteriori azioni controproducenti», come ha detto ieri un portavoce del dipartimento di Stato.
Già da una settimana, Pyongyang aveva ordinato il ritiro definitivo dei suoi uomini dall’edificio (di fatto rimasto vuoto da gennaio per il coronavirus), alzando così di livello le pressioni su Seul, perché smetta di appoggiare le sanzioni decise dagli Stati Uniti contro il proprio programma missilistico e nucleare.
Sabato, la sorella minore del dittatore, Kim Yo-jong, aveva rilasciato una dichiarazione insolita, affermando che era giunto il momento di rompere i legami con la Corea del Sud e aggiungendo che sarebbe stato compito dell’esercito lanciare un segnale. « Presto vedremo collassare completamente l’inutile ufficio di collegamento inter- coreano » , aveva dichiarato.
Kim Yo-jong è la seconda persona più potente del Paese e la confidente più fidata del leader. È il volto della nuova campagna di pressione contro la Corea del Sud e a lei passerebbe il timone del Paese, se dovesse succedere qualcosa al fratello, al potere dal 2011.
Già nel 2016, le autorità dei due Paesi, ancora tecnicamente in guerra visto che non hanno mai firmato un trattato di pace, hanno chiuso il complesso industriale di Kaesong, fondato nel 2003 nella zona demilitarizzata a cavallo del confine: nel momento di massima attività, il distretto era arrivato a ospitare 120 imprese, con 50mila lavoratori nordcoreani e decine di manager del sud. Anche questo tentativo di cooperazione economica aveva dovuto cedere il passo di fronte al riacutizzarsi delle tensioni e delle minacce di Pyongynag, decisa a non abbandonare il suo programma di armamenti.
Le relazioni tra i due Paesi erano tornare a migliorare nel 2018, per collassare nuovamente lo scorso anno, insieme ai rapporti tra Kim e Trump.
Nelle ultime settimane, Pyongyang ha accusato Seul di permettere a un gruppo di dissidenti sul suo territorio di lanciare volantini propagandistici al di là del confine, con droni e palloni. E poche ore prima dell’esplosione ha fatto sapere di essere pronta a riportare l’esercito a ridosso della zona demilitarizzata, nelle postazioni abbandonate nel 2000, dopo il primo vertice tra i capi di Stato dei due Paesi.