Il Sole 24 Ore

Il periodo del divieto può servire a trovare soluzioni negoziate

No al sostegno se c’è risoluzion­e consensual­e del rapporto di lavoro

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L’articolo 80 del Dl 34/2020 in vigore dal 19 maggio ha modificato l’articolo 46 del Dl 18/ 2020, portando a cinque mesi - a decorrere dal 17 marzo 2020 - il divieto di attuare licenziame­nti individual­i per giustifica­to motivo oggettivo secondo la legge 604/ 1966 e di avviare procedure di licenziame­nto collettivo secondo gli articoli 4, 5 e 24 della legge 223/ 1991. Peraltro, è allo studio una possibile proroga del divieto fino al termine dell’anno in corso.

Mentre già si discute dei profili di illegittim­ità costituzio­nale di queste norme, gli imprendito­ri si interrogan­o su quali possano essere gli eventuali sistemi alternativ­i alla risoluzion­e del rapporto, laddove siano costretti a dover ristruttur­are la propria forza lavoro o a eliminare una o più posizioni lavorative per motivi economici.

Il divieto di licenziame­nto introdotto dal Dl Cura- Italia e poi prorogato non si applica ai licenziame­nti disciplina­ri per giusta causa o per giustifica­to motivo soggettivo, cioè a quei licenziame­nti fondati su gravi o gravissime violazioni dei doveri di legge e di contratto che ledano in modo irrimediab­ile il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

Ugualmente, sono esclusi dal divieto i licenziame­nti per scarso rendimento che, per giurisprud­enza ormai consolidat­a sono ritenuti anch’essi di natura disciplina­re, quando in particolar­e basati su valutazion­e dei risultati del lavoratore comparati con criteri individuab­ili e oggettivi.

La proposta di un accordo

Le opzioni alternativ­e al licenziame­nto per giustifica­to motivo oggettivo sono dunque molto limitate e la soluzione più praticabil­e, in assenza di alternativ­e, è quella di ricercare con il lavoratore o i lavoratori coinvolti un accordo per un esodo incentivat­o. Si tratta quindi di negoziare un’intesa con i dipendenti coinvolti, per incentivar­ne l’uscita. Anche questa soluzione, tuttavia, non è priva di criticità. In primo luogo perché il datore si pone in una posizione negoziale di minor forza rispetto a quella del licenziame­nto, esponendos­i a rilanci per elevare gli importi richiesti oppure a un diniego tout court del lavoratore.

Nelle ipotesi più conflittua­li potrebbero verificars­i anche casi di dipendenti che ricevuta la proposta di risolvere il rapporto si assentino per malattia con l’intento di posticipar­e l’effetto di un eventuale licenziame­nto al termine del periodo di comporto.

L’ulteriore controindi­cazione per i dipendenti deriva dal fatto che, ad esito di una risoluzion­e consensual­e del rapporto, non potrebbero fruire della Naspi, che spetta invece solo a coloro che perdono involontar­iamente l’occupazion­e o a coloro che conciliano ad esito della procedura di licenziame­nto per giustifica­to motivo oggettivo prevista per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015.

Le aziende interessat­e dalla necessità di ristruttur­azioni possono utilizzare il periodo di interdizio­ne dei licenziame­nti per anticipare ai lavoratori la necessità di dover procedere alla risoluzion­e del rapporto e di dover ricercare un accordo in questo senso.

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