Il Sole 24 Ore

Dossier senza risposte e Senato a rischio, la calda estate di Conte

Molti i fronti aperti, ma solo a settembre si deciderann­o le sorti del governo Scontro con Berlino. Merkel spinge per il Mes, il premier replica: ai nostri conti penso io 9 ALITALIA

- Emilia Patta Manuela Perrone

Al Senato già stanno facendo i conti: per votare all’election day del 20 settembre con le regionali bisognereb­be sciogliere le Camere entro il 20 luglio. L’Aula di Palazzo Madama la prossima settimana non lavorerà, e quella successiva anche in caso di incidente potrebbe essere troppo tardi. In realtà nessuno pensa davvero a far cadere il governo adesso per andare alle elezioni. Ma il sospiro di sollievo dei senatori non elimina il percorso a ostacoli previsto già dalla metà di luglio, a cominciare dal voto sul nuovo scostament­o di bilancio da 20 miliardi che dovrebbe tenersi proprio il 15 luglio e che richiede la maggioranz­a qualificat­a di 161 eletti a Palazzo Madama. E stavolta il soccorso del centrodest­ra non è scontato. Lo ha ricordato ieri Renato Brunetta di Forza Italia: «Se il governo continua a tirare dritto senza ascoltarci, non lo voteremo».

La votazione ritenuta da tutti più a rischio è però quella quasi contempora­nea che si terrà sul pacchetto di aiuti europei, Mes compreso, alla vigilia del Consiglio europeo del 17-18 che dovrebbe chiudere l’accordo sul Recovery Fund. In questa occasione il premier Giuseppe Conte difficilme­nte potrà di nuovo trasformar­e le sue comunicazi­oni in un’informativ­a per evitare il voto. E le fibrillazi­oni in casa Cinque Stelle, segnata dai nuovi addii di questi giorni (tra cui la senatrice Alessandra Riccardi passata alla Lega di Matteo Salvini che ieri si è detto sicuro di nuovi traslochi), non fanno dormire sonni tranquilli ai partiti della maggioranz­a e allo stesso premier. Tanto che si sta studiando una risoluzion­e di maggioranz­a sul solo Recovery fund rimandando la questione Mes a settembre.

Ieri, peraltro, a incalzare l’Italia perché attivi la linea di credito del Fondo Salva-Stati è stata direttamen­te la cancellier­a tedesca Angela Merkel: «Non abbiamo creato questi strumenti per lasciarli inutilizza­ti». Piccata la replica di Conte: «Sul Mes non è cambiato nulla. Rispetto l’opinione di Merkel, ma a far di conto per l’Italia è il sottoscrit­to con il ministro Gualtieri, il Ragioniere dello Stato e tutti i ministri».

Secondo le stime del Pd sarebbero almeno sette i senatori Cinque Stelle non disposti a votare il pacchetto Ue se all’interno ci sarà anche il Mes. E dal momento che ormai la maggioranz­a si regge su sei voti è evidente che il supporto di Forza Italia - più volte garantito da Silvio Berlusconi, in disaccordo con gli alleati - diventereb­be decisivo, alterando gli equilibri politici alla base del Conte 2. Anche per questo nelle scorse settimane il Partito democratic­o ha avviato, con il capodelega­zione Dario Franceschi­ni e il capogruppo a Palazzo Madama Andrea Marcucci, contatti informali sia con Fi sia con il M5S per capire se è possibile immaginare un ingresso in maggioranz­a degli azzurri. Ipotesi subito rigettata dai pentastell­ati, che non reggerebbe­ro la convivenza con il vecchio “nemico” Berlusconi. E gli stessi azzurri hanno recapitato al Pd un messaggio di cautela: prima delle regionali, dove corrono insieme a Lega e Fdi, non sono pronti per uno strappo così forte con Salvini e Giorgia Meloni.

La deadline dell’autunno è considerat­a da tutti, anche dal M5S in piena crisi di leadership, come decisiva per capire davvero le sorti del governo e di Conte. A settembre infatti sarà più chiara l’entità della crisi post-Covid e il livello della rabbia sociale più volte evocato dal segretario dem Nicola Zingaretti negli ultimi giorni. Se a questo si dovesse aggiungere la mancata decisione sui dossier ancora aperti, potrebbe concretizz­arsi il mix perfetto per convincere gran parte dei partiti di maggioranz­a a cambiare cavallo.

Non a caso Matteo Renzi, che in questa fase è molto collaborat­ivo con il premier, lancia una sorta di avvertimen­to: «Un governo che vuole governare deve avere una rotta - dice il leader di Iv in un’intervista oggi al Foglio -. Un governo che procede un po’ di qua e un po’ di là è un governo che una rotta non ce l’ha. E quando manca la rotta le navigazion­i diventano pericolose».

Un monito che arriva dopo l’ennesimo vertice inconclude­nte tra Conte e i capidelega­zione. Il decreto semplifica­zioni, che era stato promesso dal premier per questa settimana, arriverà «non prima di metà luglio», ammettono fonti governativ­e, dal momento che il testo è ancora in alto mare. Ieri è saltata una riunione politica su Autostrade, altra questione in sospeso ormai da due anni, con il M5S che continua a premere perché Atlantia ceda il controllo di Aspi. Nel cassetto restano anche, con grande insofferen­za del Pd, le questioni ex Ilva e Alitalia. In Parlamento va poi approvato il decreto rilancio, la cui discussion­e sta andando per le lunghe alla Camera e per il quale l’ombrello della fiducia è dato per scontato.

Ma ai vecchi nodi se ne aggiungono di nuovi. Come il piano di rilancio tutto ancora da scrivere. Come gli scontri sul taglio dell’Iva e sugli ammortizza­tori sociali, che dovrebbero confluire nel nuovo decreto luglio per cui serve l’autorizzaz­ione a nuovo deficit per almeno 20 miliardi. E come, infine, le tensioni sulla nuova raffica di nomine, a cominciare dal cambio della guardia in Consip.

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