Il Sole 24 Ore

LONDRA GIOCA L’ASSO DEL FINTECH

- Di Marcello Minenna

Ametà giugno il Regno Unito ha reso noto che non chiederà proroghe del periodo di transizion­e per il completame­nto del negoziato sulla Brexit rispetto alla scadenza di fine anno. Restano dunque 6 mesi per trovare un’intesa con l'Ue e scongiurar­e le barriere tariffarie e non previste dagli standard dell’Organizzaz­ione mondiale del commercio.

La proposta negoziale del governo inglese è incentrata su una bozza di accordo di libero scambio che ricalca quello tra Europa e Canada (Ceta) seppur con alcuni significat­ivi scostament­i.

Particolar­mente corposa è la parte sul commercio di servizi, fiore all’occhiello dell’economia britannica. L’export di servizi del Regno Unito ( Uk) ammonta a quasi £ 300 miliardi annui, al secondo posto su scala globale dopo gli Usa. E il principale mercato di sbocco di questa offerta di servizi è proprio l’Ue con una quota del 42% ( pari a oltre £ 125 miliardi).

‘‘ Dati gli interessi della finanza inglese, le recenti dichiarazi­oni di esponenti dell’establish ment tedesco sull’importan za di mantenere una posizione negoziale ferma e coesa da parte della Ue hanno il sapore di un gioco delle parti

Numeri che aiutano a capire perché i servizi siano tra i temi più delicati del negoziato e per certi versi la stessa raison d’être della Brexit. Lasciare l’Ue, per i Brexiters, significa riconquist­are l’indipenden­za del Regno, anche e soprattutt­o quella normativa da applicare in primis ai servizi finanziari ( il 22% dell’intero export di servizi britannico).

Finora l’Uk ha esportato agevolment­e la sua finanza sul continente col sistema del passaporto grazie a cui l’autorizzaz­ione a operare rilasciata dalle autorità competenti di uno Stato membro è valida in tutti gli altri. Ma da gennaio il passaporto sarà “revocato” e bisognerà ottenere dalle autorità europee un giudizio di equivalenz­a revocabile con un preavviso di soli 30 giorni. La novità sarebbe poco gradita alla finanza britannica, ragion per cui Downing Street ( dopo aver tentato invano di ottenere un giudizio di equivalenz­a permanente) punta ora ad un accordo che preveda un’ « adeguata consultazi­one tra le parti » prima della sospension­e o revoca del giudizio di equivalenz­a.

Nonostante la fermezza dell’Ue in materia di standard normativi allineati ( level the playing field), in molti pensano che sui servizi si arriverà ad un accordo soddisface­nte per gli inglesi. Per un semplice motivo: grazie all’enorme export di merci oltre Manica ( 320 miliardi di euro), il saldo commercial­e complessiv­o ( beni e servizi) dell’Ue verso il Regno Unito è positivo per ben 74 miliardi di euro. Per le principali economie europee l’Uk costituisc­e un partner importante nello scambio di beni con un peso medio del 6,4% sul totale dell’export e del 4% sull’import.

La fetta maggiore di questi scambi spetta alla Germania con un surplus di oltre 45 miliardi nel commercio di beni col Regno Unito, seguita da Paesi Bassi ( 24), Belgio ( 13,6) e Italia ( (12). 12).

Dati gli interessi sottesi a queste cifre, le recenti dichiarazi­oni di esponenti dell’establishm­ent tedesco sull’importanza di mantenere una posizione negoziale ferma e coesa hanno il sapore di un gioco delle parti nell’intento di minimizzar­e le concession­i che alla fine l'Ue probabilme­nte dovrà fare alla finanza britannica ( e non solo). Del resto la forza propulsiva di questa industria appare inarrestab­ile, come conferma anche l’impression­ante espansione del fintech: £ 38,3 miliardi di investimen­ti e £ 9,9 miliardi di introiti nel 2019 anche grazie a un quadro regolament­are amico e aperto all’innovazion­e su prodotti e servizi finanziari.

Difficilme­nte il Regno Unito accetterà di sottomette­re agli standard dell’Ue quello che si delinea sempre più come il futuro della finanza. È più plausibile che anche sul fintech si giunga a un’intesa amichevole. A patto – ovviamente – di garantire alle merci dell’Unione europea un facile approdo oltre Manica anche dopo il 2020. Alla Germania, che da mercoledì 1° luglio presiederà il Consiglio europeo, l’arduo compito di negoziare le condizioni migliori per ( tutta) l’Ue.

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